Sandro Tonali ha rilasciato una lunga intervista esclusiva a La Repubblica. Un Tonali a 360°. Il suo essere milanista, il lavoro per prendersi il Milan dopo il primo anno sofferto. Ecco l’intervista integrale.
Il suo miglioramento e la Champions: “Tanto. Alza i ritmi di gioco, ti costringe a un’intensità, diversa dal campionato, che tu poi ti ritrovi per le partite successive. Il difficile è mantenerla per tutta la stagione”.
Il paragone con i suoi modelli: “Mi riferivo, più che al singolo giocatore completo, a qualche caratteristica di ognuno”.
Le qualità del centrocampista moderno: “Da inizio stagione lavoro molto sulle due fasi, offensiva e difensiva. Non mi sono mai cronometrato, ho visto distrattamente qualche analisi contro la Fiorentina: diciamo che sono un falso lento”.
Il riferimento all’altro ragazzo della campagna lombarda Franco Baresi, simbolo del Milan, nato esattamente 40 anni prima: “Lo so, l’8 maggio 1960. Non ne ho mai parlato con lui, ma me l’avevano fatto subito notare e mi è rimasto in mente. In effetti mi lusinga”.
Debuttanti “veterani”, cresciuti tra le cascine, lui a Travagliato e lei a Sant’Angelo Lodigiano, pallone e oratorio: “Sotto alcuni aspetti le origini aiutano: quando entri in ambienti nuovi come Milanello, hai una concentrazione diversa. Sono difficoltà che non incontra chi è cresciuto nel Milan o in una città grande. Ma io sono uscito da tempo dalla campagna, non potrei più tornare indietro”.
Dalla civiltà contadina a quella cibernetica: “Ormai Internet e i social sono davvero la base. A parte i calciatori, col web c’è chi ci vive e ci lavora. Non possiamo più farne a meno”.
Tonali, classe 2000, generazione social, pare la smentita vivente al presidente Fifa Infantino: “Il Mondiale biennale invoglierebbe i ragazzi a mettere da parte il telefonino per il pallone”: “Ne parlavamo nell’ultimo ritiro a Coverciano, il progetto ha pro e contro: più presenze in Nazionale, che è il sogno di ogni calciatore, ma tanti impegni e meno giorni di riposo. La bellezza di un Mondiale è anche averlo ogni 4 anni: aspetti tantissimo quel momento e lo assapori”.
A differenza di Baresi lei ha lasciato subito l’oratorio: troppo bravo?: “Sì, mi hanno quasi cacciato. Ero uno dei più piccoli, per come è andata, è stato un bene così”.
Scuola calcio Lombardia Uno: “A Milano, quartiere Barona. Io sono figlio della scuola calcio e non lo dimentico: dà più insegnamenti tecnici e tattici. Però quello di strada è un calcio naturale, ora ci vuole più tempo per tirare fuori certe doti”.
Al calcio il fascino da strada resta: si è visto negli stadi vuoti: “Lo abbiamo capito in quella fase: c’era il lockdown, c’era il Covid. E c’era il calcio, fondamentale per la gente. Le partite, con le giuste precauzioni che ancora stiamo prendendo, hanno contribuito a una vita meno pesante”.
Per lei e la sua fidanzata Giulia, ha detto, il lockdown è stato prezioso: “Prima stavamo poco tempo insieme e abbiamo vissuto ogni giorno accanto: ad alcuni può fare piacere, ad altri meno. A me è andata bene”.
Dalla clausura siete emersi come generazione attenta: al razzismo e all’ambiente, ad esempio: “Coi social qualsiasi persona è più attrezzata e informata, sa dove girarsi. I social hanno una parte buona. Poi si possono avere opinioni diverse, io rispetto quelle di tutti”.
Interconnessione 1: scambio con Sinner, maglia rossonera a lui, racchetta a lei: “Non l’ho usata ancora, non sono bravissimo a tennis”.
Il pensiero sulla questione Djokovic e la sua scelta No Vax: “Ho seguito poco, ma ho capito che è difficile praticare sport agonistico o fare certi tipi di lavoro, senza precauzioni adeguate”.
Interconnessione 2: Gallinari, cestista Nba, è di Graffignana, a 5′ da Sant’Angelo: “Con Danilo ci sentiamo, guardiamo le rispettive partite. Lui è milanista, ci siamo scambiati la maglia”.
Sua nonna e la letterina natalizia a Santa Lucia per la maglia del Milan, suo zio interista, l’affetto di sua sorella: c’è ancora una storia inedita di Sandro bambino?: “Nelle partitelle 5 contro 5, che finivano magari 10-10, io ero attaccante ma facevo più assist che gol. Così mi hanno spostato più dietro. Quando andavo ad allenarmi a Milano e mi portavano i miei genitori, c’era anche mio fratello, 3 anni più grande. Mi ha aiutato tanto averlo accanto”.
Il primo Milan-Juve a San Siro con papà: “Ero troppo piccolo. Ma ricordo con la Lazio un gol a giro di Kakà, tornato al Milan”.
Baresi ha raccontato l’emozione di ritrovarsi con Rivera nello spogliatoio: la sua con Ibra?: “Fortissima: in un attimo passi da tifoso a compagno, due cose completamente diverse. Devi saperle gestire e scindere, all’inizio resti a bocca aperta e rischi di deconcentrarti. Ci sono riuscito dopo il primo mese”.
In che cosa l’ha migliorata Pioli?: “Mi mancava l’1% che mi faceva stare dentro il gruppo. Lui mi ha martellato sul lavoro, glielo devo riconoscere, avevo passato un anno difficile e abbiamo fatto come se non ci fosse stato. Tenere duro non è solo una mia caratteristica, è una dote necessaria nel calcio. Senza determinazione, senza voglia di riscatto, non puoi sfondare”.
Il riscatto del Milan per lo scudetto passa attraverso le partite con Juventus e Inter?: “Dentro ogni partita ce n’è sempre un’altra, si è visto lunedì. Con la Juve sarà diversa: la sconfitta con lo Spezia non cambia il nostro approccio, fatto di forza e lucidità. Anche se non lo vogliamo dire, sappiamo che le prossime sono due partite fondamentali”.
Tra un mese saranno 10 anni dal famoso Milan-Juve del gol non visto di Muntari: la reazione all’errore di Serra sul gol di Messias è prova di sportività?: “Non possiamo tornare indietro: fa male, erano 3 punti essenziali. Però non è un episodio che ci cambierà”.
Dopo i primi due appuntamenti mancati contro la Juve, nel terzo per lei è arrivato l’assist a Rebic, ma il vero appuntamento mancato non è l’Europeo?: “Sapevo che non sarei rientrato tra i convocati, dopo la mia annata. Non l’ho presa come bocciatura, ma come stimolo per lavorare ancora meglio in estate. Il centrocampo della Nazionale è ricco e giovane. Dovrebbe essere sempre così, l’Italia ha bisogno dei giovani: stiamo tornando a essere un gruppo di 40 giocatori competitivi”.
Sulla strada del Mondiale può esserci il Portogallo di Ronaldo, Jota e Leão: lei perse ai supplementari l’Europeo Under 19: “Nel 2018: sconfitta dolorosa, ne parlavo con Rafa. Ma abbiamo dimostrato di essere una grande Nazionale. Ci scherziamo sempre: lui è un punto di forza del Portogallo, speriamo di non trovarlo devastante come in questo periodo. Io vorrei portare a nonna Biagia una mia maglietta azzurra dal Qatar, per la sua collezione. Quella del Mondiale le manca”.
Nel 2020 lei si presentò su Instagram ai milanisti con la colonna sonora di Ultimo, “Colpa delle favole”: è ancora vero?: “Sì. Nel frattempo sono andato avanti. Ma tutto è successo per colpa di una favola”.