Un Ibrahimovic a tutto tondo quello intervistato al Corriere della Sera. Lo svedese ha parlato di tutto: la sua vita, la sua carriera, la famiglia, i figli, le sue squadre. Parole che sanno di un uomo che ha vissuto a pieno la propria vita.
Ibra, lei in quale lingua pensa? “Dipende. In campo, mai in svedese: è una lingua troppo gentile, e in campo serve cattiveria. Così penso in slavo. Qualche volta in inglese e in italiano. Però in famiglia facciamo cose svedesi“.
Che bambino era? “Un bambino che ha sempre sofferto. Appena nato, l’infermiera mi ha fatto cadere da un metro d’altezza. Io ho sofferto per tutta la vita. A scuola ero diverso: gli altri erano biondi con gli occhi chiari e il naso sottile, io scuro, bruno, con il naso grande. Parlavo in modo diverso da loro, mi muovevo in modo diverso da loro. I genitori dei miei compagni fecero una petizione per cacciarmi dalla squadra. Sono sempre stato odiato. E all’inizio reagivo male“.
I suoi figli odiavano il calcio? “Li portavo a palleggiare: uno piangeva, l’altro guardava gli uccelli. Ora giocano a calcio tutti e due. Al provino sono andati con il nome della madre, Seger. Li hanno presi. Maxi ha scelto di chiamarsi Ibrahimovic. Vincent deve ancora decidere“.
Il rapporto con Capello: “Mi ha insegnato a badare al gol. E mi ha massacrato, di continuo. Un uomo molto duro. Il primo giorno, dopo la conferenza stampa, i festeggiamenti e tutto, entro nello spogliatoio, lui sta leggendo la Gazzetta dello Sport, e io bello gasato gli faccio: “Buongiorno mister!”. Lui non posa il giornale. Resto un quarto d’ora lì, con la Rosea in faccia. Poi Capello si alza, chiude il Gazzettone, e se ne va, senza dirmi una parola. Come se non esistessi“.
Le parole su Maldini: “Paolo Maldini era cattivissimo. Se voleva farti male sapeva come fare. Ma lo evitava, perché metteva la sua giusta cattiveria al servizio della squadra“.
Messi o Ronaldo? “Fortissimi entrambi. Dico Messi anche perché abbiamo giocato insieme“
I compagni al Milan: “All’inizio in allenamento non correva nessuno. Li ho affrontati uno per uno, e non in disparte, davanti agli altri: in allenamento bisogna ammazzarsi di lavoro. Se io corro, se io mi ammazzo, il mio compagno correrà e si ammazzerà per me. L’hanno capito tutti, tranne uno“.
Chi? “Leao all’inizio non mi dava retta. Ci è arrivato per conto suo. Infatti è molto migliorato“.
Come si fa a giocare fino a 40 anni? “Adeguando il gioco al tuo nuovo corpo. Imparando a calcolare il momento giusto. Dosando gli scatti. Facendo da sponda per gli altri“.