Eppure il realismo di Pioli è un buon punto di partenza

Una cosa va detta ed è sacrosanta: Stefano Pioli ha molto più senso della realtà di quello che poteva avere il suo predecessore Marco Giampaolo. Perché? Presto detto: non è necessario partire da un’idea tattica di bel gioco che rischia, con il tempo, di rimanere fine a se stessa. Pioli, dopo pochi giorni di lavoro e ancor meno con tutto il gruppo a disposizione, prova, sperimenta, non si lascia tradire da suoi preconcetti e parte con i giocatori che più gli danno la sensazione di essere in forma. È lui stesso a dirlo nella conferenza stampa post Milan-Lecce a proposito della scelta di partire con Leao al centro del tridente, relegando Piatek alla panchina. Ma non finisce qui: certo, la prova con i salentini non può far dimenticare l’inconsistenza delle gare precedenti e di una storia rossonera con più bassi che altri, ma quanto visto da Çalhanoğlu non può essere dettato un miracolo. Molto probabilmente bastava metterlo in campo nelle migliori condizioni possibili.

Chiaro che, se raccontassimo la gara di ieri solo in questi termini, proporremmo una visione distorta rispetto al risultato maturato e senza tener conto del vistoso calo che all’inizio della ripresa ha portato prima il Lecce a pareggiare su rigore (parato da Donnarumma e poi ribattuto in rete da Babacar) e quindi ad ottenere il 2-2 decisivo al 90’, complice un errore in coabitazione fra Suso e Biglia che hanno portato a quella palla vagante preda di Calderoni, finalizzata al meglio con un tiro praticamente imparabile. La strada è lunga, lunghissima e il Milan non può più ammettere errori individuali che rischiano di minare ulteriormente una tenuta di squadra già precaria. Perché, se è vero che gli undici iniziali partono a pallettoni, è anche vero che serve un prodigio turco per ottenere il primo vantaggio e che, una volta raggiunto faticosamente il 2-1, devi avere la maturità di chiudere ogni tipo di discorso.

Eppure di questi tempi, tempi che ci raccontano i 10 punti in otto partite (non succedeva di peggio dalla stagione 2012/2013, quella in cui Allegri riuscì ugualmente a portare il Milan di El Shaarawy e Balotelli al terzo posto Champions), non si può lasciare in secondo piano il realismo proposto da Pioli. Soprattutto dopo un inizio di stagione dove troppi voli pindarici avevano da una parte gasato l’ambiente e dall’altra lo avevano reso ancora più confuso e quindi vulnerabile. Il materiale umano è questo, Pioli lo sa bene e da buon sarto cerca di far rendere al meglio il tessuto che ha fra le sue mani. Handicap per il tecnico è naturalmente quello del tempo: tempo che non ha per sperimentare, tempo che non può perdere, tempo quasi interamente bruciato da Giampaolo nelle prime sette partite. Nota parzialmente positiva è il freno a mano che le romane continuano a tenere in classifica regalando una graduatoria omogenea con un’Europa fondamentalmente alla portata. Insomma, il Milan continua ad avere in mano il suo destino, consapevole dei suoi limiti, ma non per questo incapace di lottare fino all’ultimo per le posizioni che contano. Pioli ha davanti a sé un lavoro arduo, lo sa bene. Ma il suo realismo è già un buon punto di partenza.

Da SportMediaset

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