Alla fine a cadere dalla torre è stato proprio Gennaro Gennaro. Chi l’avrebbe mai detto? In pochi, pochissimi nella settimana di vigilia. Non stiamo parlando del derby in sé, che in questo caso – più che da una torre – può essere rappresentato da un piccolo muretto. Piuttosto ci stiamo riferendo alla permanenza sulla panchina del Milan, che proprio ieri – se conosciamo bene Leonardo – il fumantino tecnico calabrese ha compromesso con le sue stesse mani.
Facciamo chiarezza: che Spalletti non sarà più l’allenatore dell’Inter la prossima stagione si sa già da tre mesi, praticamente dal momento in cui Marotta è stato ufficializzato quale amministratore delegato. Ma sul futuro di Gennarino, fino a ieri, parevano esserci pochi dubbi. Certo, la qualificazione in Champions League resta (o forse meglio, restava) la condicio sine qua non per la riconferma; ma i 9 punti rimontati in 8 giornate sui cugini nerazzurri – che per due settimane hanno significato anche terzo posto in classifica – e la distanza di sicurezza mantenuta dalle romane nonostante le disgrazie di fine 2018 – senza contare poi la semifinale di Coppa Italia conquistata ai danni del Napoli – avevano convinto anche gli (inizialmente) scettici e incrementato il consenso.
È bastata una partita – o meglio, La partita – per stravolgere tutto; per far emergere tutte le lacune di un grandissimo uomo, ma allenatore ancora troppo acerbo e impreparato (e che forse non sarà mai all’altezza). Perché se è vero che Gattuso è stato strepitoso nel compattare un gruppo che – causa infortuni illustri e dipartite argentine – rischiava di sciogliersi come neve ai primi caldi primaverili, lo è altrettanto il fatto che il Milan – per l’ennesima volta – è stato surclassato in un big match, mostrandosi agli occhi degli 80mila di San Siro e non solo tristemente impotente di fronte ai colpi di un’Inter fino a un giorno fa allo sbando.
Disordine difensivo, approssimazione nella manovra, carenza di idee e cambi scellerati e schizofrenici: così può riassumersi il derby di ieri sera. E questo può anche starci se si tratta di un singolo e raro episodio. Ma per il Milan di Rino – contro le grandi – purtroppo è l’abitudine. Sull’altro piatto della bilancia dobbiamo comunque aggiungere che l’Inter – seppur priva del suo (ex) capitano Icardi (uno comunque da 120 e passa gol in A) e Nainggolan – partì ad inizio anno come terza forza del campionato, vantando una rosa sicuramente più completa e qualitativamente più dotata. Allo stesso tempo però – per un tifoso milanista – non è più ammissibile vedere un Diavolo costantemente impaurito e remissivo, con in mano un forcone di carta stagnola.
Dopo la conferenza stampa di sabato scorso – però – ce lo potevamo aspettare: “metterei la firma per arrivare quarto con l’Inter davanti a noi”. Trasposizione questa di un pessimismo e di una scarsa ambizione che caratterizzano ahinoi il Ringhio allenatore, faccia completamente opposta a quella del calciatore che indossava la numero 8 sull’erbetta verde. Il Milan deve guardare in alto e così, caro Rino, non va. Per sempre grati, ma forse a fine stagione è meglio dirsi addio.
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