Dopo il caso Donnarumma e il no dell’Uefa, la sconfitta di Verona chiude la settimana più difficile del nuovo Milan. L’edizione odierna della Repubblica si domanda come possa continuare a restare indenne Marco Fassone, l’uomo che rappresenta ufficialmente il club rossonero dopo la tortuosa cessione e uscita di scena da parte dell’ex patron Silvio Berlusconi. La proprietà cinese, al momento, tace sull’amministratore delegato di una società costata 740 milioni di euro, più altri 220 milioni impegnati nel mercato. L’Uefa, con la respinta della richiesta del voluntary agreement, ha di fatto bocciato tutti. Dal piano presentato proprio da Fassone a Yonghong Lì, presidente molto discusso che, di fatto, non ha lasciato alcuna dichiarazione in merito. Ancora troppi nodi societari devono essere sciolti, mentre il Milan perde sempre più la dignità nel mondo calcistico. Il Diavolo, ora, fa paura solo a se stesso.
Da Londra le ultime voci incalzanti riferiscono che, se il fondo Highbridge non dovesse rifinanziare entro fine anno il pesante debito contratto da Yonghong Li con il fondo statunitense Elliott (383 milioni con gli interessi da restituire entro ottobre 2018), gli aspiranti acquirenti arabi del Milan, indirizzati per ora verso il rifinanziamento, potrebbero chiedere un rinnovo dirigenziale. Al momento la pista Fabio Capello per l’area tecnica sembra tramontata. Il garbuglio sulle decisioni del Cda resta notevole. Ogni cambio di management dovrebbe essere proposto da Li, ma con il via libera dei membri italiani, in primis Scaroni, il manager già presidente dell’Eni con Berlusconi premier. Intanto ieri Ricky Kakà si è ritirato dal calcio giocato, con annesse voci che lo vogliono dirigente del Milan, come da recente proposta di Fassone. In Cina l’ex Pallone d’oro è popolarissimo. Sarà un anno cruciale per il futuro del Diavolo, sia da un punto di vista calcistico che societario.