E’ vicino al rinnovo del contratto con il Real Madrid, prolungamento, da 7.5 a ben nove milioni a stagione, fino al 2017, ma il Milan e i milanisti saranno sempre il ricordo migliore di Carlo Ancelotti. Lo dimostrano le sue parole, concesse oggi a La Repubblica. L’intervista.
Il suo momento da allenatore : “Se il mio nome aiuta l’immagine dell’Italia, ne sono onorato. Non me l’aspettavo, quando iniziai con Sacchi in Nazionale. Ho avuto la fortuna di conoscere ottimi maestri, a cominciare da Arrigo. E buon fiuto: scelte giuste al momento giusto“.
Un domatore di campioni? “Mi piace, ma i campioni veri non c’è bisogno di domarli. Sono i più seri e i più professionali, vedi Cristiano Ronaldo. Le buone relazioni, anche con chi gioca meno, dipendono dal mio passato: capisco le esigenze dei calciatori. E poi i fuoriclasse sono i più facili da allenare. Me ne vengono in mente due: Cristiano e Ibra. Zlatan è l’esatto opposto dell’immagine distorta che ne viene data. Un campione è anzitutto un uomo“.
Il rapporto con Gattuso: “Il massimo livello di confidenza l’ho raggiunto con lui. Rino era come un fratello, anche se io ero il suo allenatore. Gli ho confidato cose che non ho mai detto a nessun altro“.
Su Balotelli: “Deve trovare un posto dove sentirsi a proprio agio. Prima o poi ci riuscirà, ma dipende da lui: aiutati che il ciel ti aiuta. Ci stavo provando, al PSG. Veniva da un ottimo Europeo. Poi si è presentata l’occasione di Ibra e siamo andati più sul sicuro”. Su Mourinho: “Siamo diversi, ognuno gestisce le situazioni con il carattere che ha. Il mio mi porta a fare la guerra solo se non posso evitarlo. Comunque Mourinho è un grandissimo allenatore“.
Un bilancio su quanto fatto fin qui: “Umanamente non sono cambiato: stesse idee e stessi valori. La differenza è che mi sento cosmopolita. E addirittura poliglotta! Parlo 4 lingue, così peggiora l’italiano. Le esperienze a Londra, Parigi e Madrid sono state preziose. Anche come allenatore sono meno preoccupato, più internazionale”.
La tattica? “L’evoluzione si è sviluppata con l’esigenza di fare coesistere calciatori di grande qualità tecnica, adattando a loro il sistema di gioco“. Sugli errori fatti in carriera: “Non avere voluto Baggio al Parma e non essermi accorto alla Juve che Henry non era un esterno“.
Sul Real Madrid: “Il Real è un club molto ben strutturato. I soci eleggono ogni 4 anni il presidente, il che diventa anche uno strumento di controllo. Qui non c’è il magnate, ma una formidabile gestione del marchio. Il Real vuole i migliori e, di conseguenza, il gioco migliore“.
Su quanto ha detto Conte: “Temo che sia vero. Di sicuro il futuro è legato ai nuovi: Verratti, che ha personalità e voglia di arrivare, e poi Darmian, De Sciglio, El Shaarawy, Insigne, Immobile. A livello tecnico non siamo messi così male. Conte è bravissimo. L’Italia vince un Mondiale ogni 24 anni, mi candido per il 2030 quando avrò 71 anni: si può fare…“.
Sul calcio italiano visto all’estero “E’ preoccupante. Tutti i paesi fanno passi avanti, noi invece siamo statici. San Siro vuoto è triste: si è perso interesse verso il calcio. La Serie A ha poco fascino, non attira i campioni. Stadi e infrastrutture sono il problema centrale“.
Idee per migliorare il nostro calcio ? “Un grande evento può aiutare. È successo alla Germania col Mondiale 2006, succederà alla Francia con l’Europeo. Ma servono stadi di proprietà, come quello della Juve. Ho studiato il fenomeno: lo United ricava dallo stadio 180 milioni, il Milan 20“.
Sulla crisi calcistica a Milano “È transitoria. Tornerà a pensare in grande. Il vantaggio di Berlusconi, come di Florentino, è che è tifoso fin da bambino. Altri, come Abramovich al Chelsea e Nasser al PSG, tifano da quando hanno comprato il club“.
Tornerebbe mai al Milan? “Se tornassi in Italia sarebbe al Milan, solo al Milan. Da allenatore”.
Sui giocatori allenati da lui diventati allenatori: “Non avrei mai pensato a Inzaghi, Gattuso e Seedorf mister. Se hanno preso qualcosa da me e se diventeranno allenatori importanti, mi farà piacere“.
Su Seedorf: “A stagione in corso è la cosa più difficile. Io l’ho provato alla Juve e al PSG. Clarence ha cercato di incidere in un ambiente che faticava ad accettare il cambiamento. A lui e agli altri auguro il mio stesso fiuto nelle scelte“.