Sicura la sua assenza nel derby, nessun dubbio invece sulla sua fede rossonera, ammessa pubblicamente al mensile “Forza Milan!”. Abate, fascia di garanzia.
Amore Milan: “La passione è tanta, io provengo dal settore giovanile e appartengo a questa società da 18 anni. Ho fatto tutta la trafila con l’obiettivo di arrivare in Prima squadra, il fatto di averlo centrato ha sviluppato un senso di appartenenza maggiore a quello di un giocatore arrivato da fuori. E’ normale innamorarsi di questa società, di questa e città e di questi colori, però credo che chi comincia qui fin da ragazzo come me e De Sciglio abbia un amore incondizionato per il rossonero”.
Su San Siro semivuoto: “Non è bello. Mi ricordo quando facevo il raccattapalle per la squadra di Ancelotti, a quei tempi lo stadio era veramente strapieno. Io però ho cominciato a giocare con Leonardo allenatore e anche allora lo stadio era semivuoto, poi è tornato a riempirsi quando abbiamo ricominciato a vincere trofei. Sta a noi riconquistare i tifosi, siamo sulla strada giusta: già contro la Juventus si è rivisto il ‘vecchio’ San Siro”.
Gli idoli di Abate: “Al Milan ho avuto la fortuna di stare presto a contatto con un gruppo di campioni inarrivabili. Il mio modello è stato Gattuso, per quanto riguarda la professionalità e la voglia che ci metteva tutti i giorni a Milanello. Magari ha avuto meno qualità rispetto ad altri compagni di squadra, ma il suo carattere era dieci volte superiore a tutti. In questo mi rispecchio in lui. Poi l’amicizia che ho stretto con Pirlo e Nesta in quel periodo era significativa perché mi ha permesso di avvicinarmi a persone vere, che facevano della loro professione una ragione di vita. Con degli esempi sbagliati, era difficile. Nesta per me è uno dei tre difensori più forti di tutti i tempi. Era il top in tutto: forte a livello mentale, classe infinita e numero uno a livello fisico; posso testimoniare che quando correvamo arrivava sempre primo. Ma voglio citare anche Ibra per qualità e temperamento, come lo stesso Gattuso”.
Ancelotti, Leonardo e Allegri: “Quando Ancelotti ci ha lasciato è andato via veramente un pilastro dello spogliatoio, avevamo vinto di tutto e di più e quindi voltare pagina non era sicuramente facile. Con Leo abbiamo fatto un buonissimo anno, la stagione dopo però siamo ripartiti da zero con Allegri. Mi ricordo che non avevamo disputato un buon precampionato, poi però a fine mercato arrivarono Ibra e Robinho e questo portò un entusiasmo incredibile. Con il nuovo allenatore abbiamo conquistato lo scudetto al primo tentativo, in generale quelli con Allegri sono stati 3 anni buonissimi. Analogie Leonardo-Inzaghi? Forse entrambi hanno dovuto iniziare da zero. Inzaghi sa perfettamente cosa significhi stare in questa società, molto bravo nel trasmettere al gruppo dei valori che magari l’anno scorso si erano un po’ persi”.
Su Brocchi e i giovani: “Adesso è arrivato un allenatore che segue il solco lasciato dal suo predecessore. Brocchi è come Inzaghi, uno che mangia pane e calcio dalla mattina alla sera. E’ un ragazzo con principi sani, anche insegnerà regole e rispetto ai ragazzi. La nuova generazione è diversa dalla mia, nell’era dei social ci sono più distrazioni e certe cose possono pesare: non è facile pensare che devi uscire da scuola e prendere il pullmino per andare a fare l’allenamento, tornare a casa tardi la sera, andare a letto presto il sabato. Ma si tratta di sacrifici che vale la pena fare, perché quando indossi questa maglia e arrivi in determinate categorie con gli Allievi o la Primavera hai il dovere di dimostrare che a livello mentale sei avanti rispetto ai tuoi coetanei”.
Ancora: “Niente Coppe? Un vantaggio avere una gara a settimana, anche se così si crea un equilibrio mentale diverso rispetto al solito. Io preferirei giocare ogni tre giorni, soprattutto il mercoledì se c’è un impegno di Champions. Alla fine puoi allenarti quanto vuoi, però il ritmo che ti dà la partita nell’arco dei 90 minuti è unica. La testa è una componente fondamentale, l’abbiamo visto in queste giornate con Inzaghi: è riuscito a rigenerare un gruppo che l’anno scorso, ha detta di alcuni, sembrava non fosse all’altezza. Inzaghi in due-tre mesi non ha stravolto la rosa nel fisico, piuttosto ha lavorato sulla testa di ciascuno di noi: la dimostrazione che le motivazioni fanno la differenza”.
Il maggiore rimpianto: “Il più grande è quello di non essere riusciti a confermarci campioni d’Italia con Allegri, avevamo sicuramente le potenzialità per fare il bis. Chissà cosa sarebbe successo se l’avessimo centrato. Forse Thiago Silva e Ibra non se ne sarebbero andati, avendo la possibilità di ottenere la seconda stella… Ci siamo giocati tutto in quella maledetta settimana contro Bologna e Fiorentina, quando abbiamo preso un punto su sei. Un altro rimpianto è legato all’eliminazione in Champions nei quarti di finale con il Barcellona per un rigore che fece discutere parecchio: peccato, meritavamo di passare noi”.
Infine: “Papà Beniamino? Mi ha sempre lasciato molta libertà, sia a livello calcistico che fuori dal campo, dicendomi che qualsiasi cosa decidevo la dovevo fare con la massima serietà. Era solito ripetermi che tutti gli impegni che si prendono vanno portati a termine, con educazione e rispetto. Lui del resto è stato un ottimo professionista, ho solo seguito il suo esempio. Mondiale in Qatar? Purtroppo ci dobbiamo adattare, perché si andrà sempre più in quella direzione. Col passare degli anni si sta perdendo un po’ il fascino del Mondiale in Europa o in Sudamerica, privilegiando luoghi con meno tradizione. Faccio fatica a trovare le parole giuste, però non è la stessa cosa: noi il calcio lo abbiamo nelle vene. Futuro? Mi è capitato di pensarci, devo dire che non riesco ad immaginarmi lontano dal calcio. La mia professione la vivo molto intensamente, difficilmente riesco a staccare. Ma se dovessi fare l’allenatore, prima di tutto dovrei mettermi a studiare l’inglese, prometto che prima o poi prenderò in mano i libri”.