Ai milanisti che stanno ancora giocando il primo tempo della loro vita rossonera (e non solo), non é difficile spiegare perché a noi che siamo già in piena ripresa quella zuccata prende ancora la gola, e la bocca dello stomaco, e provoca una vampata di adrenalina, energia, voglia di un certo Milan a dispetto delle meravigliose cascate di Coppe, coppette, campioni e campionissimi. È perché quel 28 ottobre 1984 in pieno primo tempo c’eravamo noi, e l’inizio della nostra esistenza di cuori rossoneri non era stato dolce. Il declino, gli scandali, la B, ci eravamo già attaccati a questa squadra per istinto o discendenza, non certo per le vittorie, non certo per la tv, dove – non giocando le Coppe – non stavamo mai. Anche quel derby cominciò male, tempo 10 minuti cross di Rummenigge, tuffo di Altobelli, gol.
E quelli, gli altri, che cominciano con il repertorio, culminante sempre e comunque in quelle due paroline, Serie B, Serie B. Con loro, due che fino a poco prima erano nostri eroi, il mister Castagner, il Mundial Collovati, gente che aveva voltato le spalle alla causa, troppo difficile la vita in quel Milan di insuccesso. Castagner e Collovati: Dio fa gli infami, poi li accoppia, recitava uno striscione pencolante dalla Fossa. E noi a mangiarci unghie, nel frattempo, sei anni che perdiamo, possibile che in questo cazzo di derby vincano sempre i cattivi. Specie perché gli ossi in rossonero, diversamente dal solito, non erano ragazzini persi nelle metà campo. Anzi.
Il Milan teneva palla, manovrava, saliva man mano, era in controllo: proprio alla Liedholm, seduto in panca con giaccone giallo taxi. E dal momento del pari di Agostino (sempre nel cuore anche lui), capimmo tutti, anche loro, che nella luce forte del sole basso di ottobre, stavolta sarebbe andata diversamente. Solo che nessuno, invece, avrebbe potuto pensare a qualcosa che per un milanista, giovane o vecchio, curvaiolo o distintista, sarebbe stato così accecante, epocale, rivoluzionario. La palla riconquistata dal Capitano. Virdis. Non tesa, ma precisa. Il tuo nuovo eroe coi capelli lunghi, a un’altezza soprannaturale. Sotto, il rinnegato permanentato. Sopra, la Curva. Un missile, di testa, nessuno lo vide entrare nel sette. Zenga giù di schiena. Dietro di lui, il parterre esploso. Gente in età, padri di famiglia che piangevano, urlavano, bestemmiavano gioia. Tutti giù, 4 o 5 gradini. Qualcuno si fece male, contro le transenne.
Tutto è durato forse 15, 20, 25 secondi. Ma è stato il Big Bang. Lì, per noi dei secondi tempi, è cominciato qualcosa. Un anno e rotti prima dell’avvento del Pres e della vera svolta verso posti più belli in classifica, negli stadi fighi, in televisione, ovunque. Lì abbiamo capito che c’era qualcosa di più dell’amore irrazionale per quella squadretta, che il milanismo significava anche gioia profonda, orgoglio del presente e non solo del passato, è ancora di più entusiasmo per il futuro. Capimmo che il meglio stava finalmente per cominciare. Ed è per questo che tra un Van Basten è un Kakà, tra un 4-0 al Barcellona e una sfilza di Palloni d’Oro, insieme o persino sopra tante di queste cose ci sarai sempre tu, Mark Hateley, tu che ci hai portati su, e non siamo più scesi. Poche settimane prima del 28 ottobre 1984 uscì un disco, degli U2. Si chiamava The Unforgettable Fire. L’incendio indimenticabile. Ecco.