Lo chiamavano Mancinho per via della sua propensione al dribbling, ai doppi passi, alle invenzioni in campo, alla somiglianza con Roberto Mancini. E’ finito per farsi condannare, per un abuso a una modella brasiliana nello scorso dicembre proprio qui a Milano, a 44 mesi di carcere (3 anni e 8 mesi). Potrebbe sembrare la trama di una fiction americana, invece vi stiamo raccontando la storia di Amantino Mancini.
Siamo nella notte tra l’8 e il 9 dicembre 2010 quando Mancini, a una festa orgnizzata dal connazionale Ronaldinho, abusa, secondo l’accusa, di una modella brasiliana ubriaca. La modella, resasi conto dell’accaduto solo il giorno seguente, ha denunciato il calciatore per violenza sessuale e lesioni personali aggravate: nell’abusare infatti, il brasiliano avrebbe anche provocato delle escoriazioni alla ragazza che adesso chiede giustizia.
Nell’inchiesta è finito anche un secondo personaggio, Geraldo Eugenio Do Nascimento. L’amico di Mancini infatti, secondo il pm, qualche giorno dopo l’accaduto avrebbe cercato di incoraggiare la modella a ritirare l’accusa e di chiudere lì la faccenda, cosa che la modella non ha fatto e che ha denunciato anche: per Geraldo Eugenio Do Nascimento adesso si prospettano 10 mesi di reclusione per favoreggiamento.
Venezia, Roma, Inter e Milan, Mancini quello che voleva dal calcio l’ha ottenuto: successo, fama, soldi, spettacolo e divertimento. Quando entri in un mondo malato però, poi dopo diventa difficile uscirne. La sentenza finale è prevista per il 28 novembre, data della verità per un brasiliano che aveva tutte le carte per sfondare nel calcio che conta. Impossibile infatti dimenticare quei doppi passi a Lione con la maglia della Roma in Champions: quello era l’Amantino che ci piaceva.