Il calcio italiano è ad un giro di boa tanto impegnativo quanto necessario. Ad infiammare gli animi (oltre ad una squadra allo sbaraglio) arriva anche la mazzata del giudice sportivo che ha “condannato” il Milan per i cori razzisti e gli insulti a discriminazione territoriale intonati dai tifosi che hanno seguito la squadra a Torino in occasione del match contro la Juve.
Primo caso in Italia, la società di Via Turati sarà costretta a pagare un’ammenda di 50.000 euro oltre a far giocare i propri ragazzi a porte chiuse. Verrebbe quasi da sorridere, se non fosse che mai come ora la rosa necessita di collaborazione, sostenitori e grinta.
Alla decisione del giudice sportivo: “Sanzione dovuta ad alcune centinaia di sostenitori rossoneri, alcuni minuti prima dell’inizio della gara, al 6′ ed al 43′ del secondo tempo che hanno intonato un insultante coro espressivo di discriminazione territoriale nei confronti dei sostenitori di altra società”, è seguita immediatamente la reazione di Adriano Galliani che ha impugnato la spada in veste di protettore rossonero: “I cori non si sono neanche sentiti, e poi solo in Italia abbiamo questa legge”.
La redazione de Ilsussidiario.net ha contattato l’ex giocatore e procuratore sportivo italiano Massimo Brambati per avere un parere sull’insolito accaduto: “Non è questione di risolvere o meno un problema, è questione che, semplicemente, ci sono delle regole che vanno applicate. Io non so in relazione a questa squalifica se siano state applicate in modo congruo ed equo o se sono state fatte delle sperequazioni. Ma ribadisco: ci sono delle regole che vanno rispettate. È giusto così, è già stato fatto in altri posti. In Inghilterra hanno risolto con gli hooligans un problema gigantesco. Qui non riusciamo a trovare misure efficaci. Gli ultras non sono tutti da condannare, anzi vi è una buona fetta di ultras che sono la parte buona del calcio, però quella parte minoritaria che porta violenza all’interno e fuori dallo stadio deve essere colpita. Non è giusto che a pagare siano tutto per colpa di pochi noti ma purtroppo è inevitabile. Chi va in curva e allo stadio dovrebbe cercare di criminalizzare i colpevoli e cercare di isolarli, di tenerli in disparte, metterli in difficoltà. Le lezioni servono, altrimenti se continuiamo ad andare avanti pensando di risolvere le cose tentando di parlarne solo in televisione, non andiamo da nessuna parte, non serve a niente. Sono contrario allo scioglimento dei gruppi organizzati. Io non capisco il motivo per il quale in Inghilterra ci sono delle curve fantastiche che coinvolgono tutto lo stadio, mentre qui in Italia non è possibile. Le racconto un esempio. Sono andato a vedere Watford-Crystal Palace, finale di Champioship (la serie B inglese, nda) a Wembley: 92mila persona, 46mila per parte, una cosa bellissima da vivere. Siamo andati tutti insieme mischiati in metropolitana per raggiungere lo stadio e in strada era tutto sereno. Il Watford ha perso e tutto si è concluso tranquillamente. Non capisco davvero perché da noi tutto questo non possa succedere”.
Così, a proposito della decisione del Milan di presentare ricorso, scelta non sostenuta in occasione della squalifica di Balotelli: “Secondo me non l’ha fatto per non mettersi contro il sistema arbitrale: ha capito che Mario Balotelli meritava quelle giornate di squalifica e mettersi contro a una decisione presa da referto di arbitro, avrebbe significato andare contro ad un arbitro. La squalifica era sacrosanta, vista la scena poco edificante per tutti e per il Milan come società”.