Le 25 presenze sin qui disputate sono un buon bottino per cominciare a tracciare positivamente la stagione di Cristian Zapata. Arrivato al Milan all’improvviso, ha faticato a lasciare un segno nei primi mesi rossoneri, cadendo in errori e scivolando in basso alla classifica insieme alla squadra. Poi la crescita, la fiducia: il cambio di passo. Zapata si è preso le sue responsabilità e non ha mai polemizzato niente o cercato scuse di qualsiasi tipo, lasciando spazio ad un lavoro serio e silenzioso.
Ci ha messo la faccia ed ha analizzato con estrema franchezza e lucidità vittorie, sorpassi, eliminazioni e sconfitte. Sempre. In una difesa da rivedere, con ampie lacune e diversi punti di domanda, dovuti alla mancanza di un vero leader tecnico (e non solo), ma anche con qualche decisiva scoperta: come l’avvento di De Sciglio, la corsa instancabile di Constant, la “ferocia” di Mexes. In tutto questo Zapata si è inserito bene, a tratti benissimo, diventando un titolare. Il fisico c’è, la testa da grande giocatore anche: quello che spesso è venuto meno sono state attenzione e continuità. Ma quando è mancato si è sentita la sua assenza.
Specie con il Catania, quando per squalifica ha dovuto lasciare spazio ad un impreparato Bonera. E se le riserve si chiamano Yepes, 37 anni, Zaccardo, una sola e misera presenza contro la Lazio e Salamon, giovane e arrivato infortunato, si capisce il perché di un impiego così massiccio, dovuto ai suoi meriti ma anche ai tanti demeriti altrui. Senza di lui il Milan perde qualità e forza, senza che possano essere rimpiazzate da qualcun altro.