Franco Baresi, leggenda del Milan, ha parlato in una luna intervista ai microfoni del Corriere della Sera. Ecco le sue dichiarazioni:
Quando, da bambini, giocavate nell’aia accanto alle galline, immaginavate di vivere, un giorno, carriere simili?
«Ma va. Non guardavamo la tv, figuriamoci andare allo stadio. Io non sapevo nemmeno chi fossero Pelé o Cruijff. Poi però, a dieci anni, mi capitò di vedere quella che per noi italiani ancora oggi è la partita, cioè la semifinale contro la Germania ai Mondiali del Messico. Una folgorazione. Cominciai allora a sognare».Chi avrebbe voluto diventare?
«Forse Pierino Prati».Cabrini, Baresi, Donadoni, Prandelli, Riva, Scirea e tanti altri: il cuore lombardo che da Bergamo allunga fino a Cremona ha dato tanto al calcio.
«Vede, tutto nasceva dalla passione di ogni giorno. Noi cominciammo a giocare nell’aia del casale con un pallone di cuoio, poi un giorno arrivò un prete, don Piero Garbella, che ci incoraggiò a seguire i sogni. Il calcio vero cominciava alla maniera contadina: coltivando i ragazzi nei luoghi dove erano nati, osservandoli nel cortile degli oratori. All’Unione Sportiva Oratorio Travagliato c’era la regola di andare a dormire alle 10 di sera. Io lo faccio ancora adesso, pensi un po’».Proprio nelle gare dell’oratorio lei venne notato dagli osservatori del Milan. Se lo ricorda l’arrivo a Milanello?
«Eccome. Non mi sembrava vero di vedere da vicino Rivera, Liedholm, Rocco. Ricordo la prima gara in serie A, contro il Verona. In trasferta. Vincemmo e negli spogliatoi mi si avvicinò Nereo, all’epoca direttore tecnico, che mi fece: “Ma t’ha giugà anca ti?!”».Possiamo dire che il Milan è stata — letteralmente — la sua seconda famiglia?
«Certo. Io ho perso mia madre a tredici anni, mio padre a diciassette. Io nelle cose ho sempre cercato stabilità. Nel lavoro, nello sport, nella famiglia. Lo sa che lo scorso 10 settembre abbiamo raggiunto i trentotto anni di matrimonio con mia moglie? E stiamo insieme da 40».
Franco, qual è il suo sogno ricorrente?
«Sogno spesso la prima Champions vinta al Milan. Vede, io ho vissuto tante epoche diverse nella squadra, compresa la retrocessione. Ci sono stati alti e bassi molto profondi e se ancora oggi sono qui, in rossonero, non è perché io mi senta “una bandiera”, ma è perché anche qui ho cercato la stabilità. Ho ragionato per fasi, come si fa nelle famiglie. Ho cercato un equilibrio».