Durante il mercato estivo, tra un’esaltazione esagerata e diffusi scenari nefasti, da questo spazio spesso si è definito l’operato della dirigenza come una campagna di consolidamento piuttosto che rinforzamento.
Lasciamo perdere chi pronosticava un campionato da quinto o sesto posto, degna posizione per una rosa che lo scorso anno è arrivata seconda solo grazie alla forma smagliante della dea bendata.
Che differenza c’è tra il Milan dello scorso anno e il Milan di quest’anno? Nessuna. E cosa in comune? Tutto. I numeri sono chiari e lo testimoniano. Ibra e compagni alla 17esima giornata dello scorso anno era prima con 40 punti. Quest’anno la capolista della seria A ha sempre 40 punti ma non è il Milan che è secondo con 39 punti. Appena un punto di differenza. Siamo li. A coincidere perfettamente è la differenza reti, +17, frutto di 36 gol fatti e 19 subiti. Esattamente come lo scorso anno in questo punto della stagione.
Ciò che impressiona, oltre ai numeri, è l’andamento. Partenza sprint con risultati importanti e gioco spumeggiante (scorso anno vittorie nel derby, a Napoli e pareggio con la Roma mentre quest’anno vittorie con Lazio, a Bergamo, Roma e pareggi nel derby e a Torino contro la Juventus). Nella parte centrale del girone gli infortunati e squadra in calo fisico, fino alle sconfitte sul finire del girone.
Una cosa va detta. Se qualcuno due anni fa avesse pronosticato due stagioni da podio dopo anni bui e umilianti, si sarebbe firmato con il sangue. Ma oggi il retrogusto amaro è persistente forse perché è forte la sensazione che quest’anno può essere l’anno giusto per ritornare ad arricchire la bacheca di Casa Milan.
Il popolo rossonero ha accettato serenamente l’uscita dalle coppe europee ad una condizione, che si provi ad andare oltre la “sola” qualificazione alla prossima Champions. Incontentabili? No, semplicemente ambiziosi.
Replicare e consolidare lo scorso anno sarebbe importante ma perché non provare ad andare oltre? Certo, il concetto secondo il quale avere tutti a disposizione farebbe diventare questa rosa ultra competitiva, regge solo in teoria. Pratica e numeri sono lì a smentirla. Fin qui abbiamo parlato di stagioni in fotocopia e nelle coincidenze c’è quella triste dei tanti infortuni. Sfortuna? Non scherziamo. Ma questo merita un approfondimento a parte. Ad oggi i rincalzi non sono stati all’altezza. È nei fatti che molti acquisti estivi non stanno rendendo per quanto si sperava e puntualmente la loro presenza in campo fa rimpiangere i titolari.
Una fortuna c’è. La fine del girone d’andata, a differenza della stagione scorsa, coincide con l’inizio del mercato di gennaio e non con la fine. Quindi il punto è questo. La finestra di mercato di gennaio dirà molte cose del nostro futuro. La stagione finita di Kjaer priva il Milan di un campione e leader. La sua sostituzione deve avvenire con una certezza e non con una giovane promessa. Affrontare Roma, Juve e il derby da gennaio ai primi di febbraio privi di Kessie e Bennacer impegnati con le rispettive nazionali in Coppa d’Africa, deve obbligare la dirigenza a intervenire in quel reparto. In 40 giorni può girare la stagione. Da non trascurare il capitolo attacco. Chiedere a Ibra sacrifici spaventosi è molto pericoloso. Giroud, tolte le prime due giornate, tra covid e continui infortuni, non ha reso per quello che ci si aspettava.
La società è chiamata a sacrifici per far sì che due stagioni al vertice non si limitino a pacche sulle spalle. Due stagione, 55 giornate ad oggi (38+17) di cui 29 da primi in classifica (21+8), 24 da secondi e appena 2 da terzi in giù, aumentano esponenzialmente il timore che questo consolidamento del progetto possa portare a un nulla di fatto in termini di vittorie che avrebbe un gusto troppo amaro da essere digerito.