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Editoriale

Giù le mani da Theo “Il Magnifico”: è lui l’ago della bilancia del Milan di Pioli

Il Poeta è come lui, principe delle nubi

che sta con l’uragano e ride degli arcieri;

esule in terra fra gli scherni, impediscono

che cammini le sue ali di gigante“.

Milan-Juventus 1-3. I rossoneri assaporano l’amaro gusto della sconfitta in Serie A dopo 304 giorni. Un’infinità, un oceano di emozioni, partite sudate, vittorie, imprese. Non ultima la partita al Vigorito di qualche giorno fa: l’orgoglio del diavolo al servizio di una causa più grande. 304 giorni di Maestrale in quel di Milanello e non solo. 304 giorni in cui il Maestro Pioli ha diretto l’orchestra in una sinfonia che, sciogliendo la Luna, ha reso al Milan una melodia che mancava da troppo tempo. Ieri, invece, la prima caduta. Ed è bene sottolineare subito il nulla che passa tra il saper leggere le situazioni – contestualizzando – e il parlare per poter dare adito alla propria bocca. Un diavolo che, senza uomini fondamentali, ha reso difficile la vita ad una Signora Juventus – perdonerete il gioco di parole -: bianconeri cinici e con armi letali dalla panchina, quali Kulusevski e McKennie. Mancava Bennacer, faro del centrocampo rossonero, così come il suo sostituto. Mancava Tonali che, nonostante le critiche, prosegue nella propria crescita. Mancava addirittura l’ultimo centrocampista della rosa rossonera, Krunic. Mancava il capolavoro tattico di Mister Pioli: l’irrefrenabile Alexis Saelemaekers, ponte tra necessità e virtù. Mancavano Rebic e Ibra. Non serve aggiungere altro. Anzi, solo una precisazione: il Milan ha fatto un’ottima partita, soffrendo, alla lunga, l’assenza di ricambi. Ed ecco che il Poeta emerge rispetto alla singola unità: in questo diavolo c’è poesia pura, ogni verso è scolpito con le fiamme della passione di chi ci crede sempre, di chi prova a superare i propri limiti. E cadere può essere solo un sentiero da percorrere per trovare la propria essenza.

Ciak si gira: giù le mani da Theo Hernandez

Il sottile filo che divide una critica costruttiva da una distruttiva è ineluttabile: lo si percepisce appena. E non è da tutti. Ieri Theo Hernandez è stato autore di una prova grigia, caratterizzata da alcuni errori difensivi importanti, come in occasione del primo gol di Chiesa. Sono situazioni che andrebbero osservate nel giusto contesto: a parte i complimenti a Dybala in occasione del vantaggio ospite, Theo deve migliorare in alcune letture difensive, come è normale che sia a 23 anni. Blanda, invece, la marcatura sull’ex viola in occasione del 2-1 della Juventus. In generale l’ex Sociedad ha sofferto moltissimo la spinta di Chiesa sulla fascia. E giù di critiche nei confronti del terzino mancino. Cadere, spesso, serve: dai propri errori si può imparare – sembrerebbe una frase fatta, lo è – ma le critiche poco generose sono lame ardenti che bruciano e lasciano, qualche volta, delle ferite. Hernandez non merita questo trattamento, nonostante abbia alcuni aspetti da migliorare in fase difensiva. Ricordiamo, per legge umana, alcuni numeri del fenomeno rossonero: 36 partite giocate la passata stagione con 7 reti e 5 assist. 21 le gare, invece, di questa stagione tra campionato ed Europa League con 4 reti e 5 assist. Per uno che di mestiere fa il terzino nella difesa a quattro. Senza considerare il peso delle reti realizzate. Quel maledetto Milan-Parma stregato, risolto da due reti dell’ex Real. La rete fondamentale contro la Lazio allo scadere, che ha regalato al Milan una vittoria vitale. E non dimentichiamo le scorribande, le sovrapposizioni, le galoppate di Theo sulla fascia sinistra. Un uragano, un fiume in piena che cerca la propria foce, una stella, lucente, pronta ad esplodere per travolgere qualsiasi cosa si ponga tra sé e le difese.

Theo Hernandez è quanto di più simile al Gareth Bale dei bei tempi. È un capolavoro figlio di due creazioni: la natura e la bravura di Paolo Maldini, artefice del suo passaggio al Milan. E, soprattutto, Theo è l’ago della bilancia di questo Milan disegnato da Pioli. Una costante spina nel fianco per gli avversari, un treno impazzito che non conosce limiti e fermate. Fondamentale a livello tattico il suo continuo sovrapporsi, che permette agli esterni alti a sinistra di inserirsi in area e avere maggiore libertà nel proprio raggio d’azione. La catena con Rebic funziona perfettamente: l’esterno ex Eintracht può, grazie ad Hernandez, tagliare in area e dare soluzioni diverse a centravanti, trequartista – in tal caso Calha – e all’esterno opposto. Hernandez è capace di crescere col passare dei minuti, non paga mai la stanchezza, anzi. Le sue accelerate nei minuti finali sono capaci di spaccare le squadre in due. La potenza delle gambe, la rapidità, la tenuta atletica e quel magico sinistro sono l’incipit di un capolavoro artistico pronto a prendersi, con rabbia, l’eternità. E l’arte vale gli applausi di un pubblico ammaestrato e, sin troppo, spocchioso nei confronti di un talento purissimo?

C’è una sorta di sollievo nel vuoto del mare. Così come nell’osservare Theo distendersi su quella “sua” fascia mancina. Lasciatelo correre. Lasciatelo andare: come le schiumose acque della Senna di Monet. Allo stesso tempo Theo è tempesta che infervora. Hernandez è un Poeta, che – di genio – unisce la prosa alla poesia. E il Milan ha necessario bisogno del suo estro. Giù le mani da Theo “Il Magnifico”.

This post was last modified on 8 Gennaio 2021 - 09:11

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redazione