È un Ibra nuovo. Sì, chilomentrato e con qualche ruga in più sul viso (i primi piani non lasciano scampo) rispetto al 2012, ma comunque nuovo. E lo abbiamo visto già in quei pochi minuti, meno di 40, disputati lunedì scorso contro la Sampdoria: Suso sbaglia uno, due, tre cross e lui continua a battere le mani. Krunic e Leao non concretizzano le sue sponde, ma lui li incoraggia e li abbraccia a fine gara. San Siro fischia, imbufalito per l’ennesima prova deludente, ma lui va – praticamente da solo – sotto la curva abbozzando un timido applauso di ringraziamento.
L’Ibrahimovic di 9 anni fa, probabilmente, si sarebbe spazientito al secondo errore del compagno e avrebbe contestato il dissenso dei tifosi, togliendosi la maglia e dirigendosi direttamente negli spogliatoi. Insomma, le premesse sono state rispettate: Zlatan è tornato per infondere fiducia e sicurezza – oltre che attributi e quel pizzico, si fa per dire, di qualità – in una squadra mediamente giovane e immatura, e lui sta eseguendo. Ma quanto durerà questa pazienza? Conosciamo lo svedese, conosciamo il suo carattere e la sua indole da vincente, spesso però ruvida e scomoda. Indole che può rivelarsi – qualora la piega non dovesse cambiare – un’arma a doppio taglio.
Il rischio di trovarci a parlare tra un paio di mesi un Ibrahimovic che getta la spugna, esasperato da questi ragazzi – sì giovani, ma anche svogliati e talvolta mediocri – è alto. Un film già visto tra l’altro, proprio un anno fa con Higuain: l’arrivo come salvatore della patria, tra l’entusiasmo dei tifosi e le promesse ambiziose di Leonardo e Maldini; poi le prime partite storte, l’astinenza di gol e il mal di pancia, sfociato poi in addio. Rischio di un disastro, qualora il Milan dovesse per giunta privarsi degli altri suoi attaccanti – senza fare nomi – per lasciare spazio al numero 21.
Del resto anche Jennifer Wegerup – nota reporter svedese e grande amica dell’attaccante rossonero – pochi giorni fa ce lo ha anticipato: “Questa sarà la sfida più dura e importante della sua carriera. Lui è sempre stato abituato a giocare con grandi campioni, ora dovrà dimostrarsi grande leader: forte, ma allo stesso tempo buono e paziente“. Una mission quasi impossible. Ma si sa, a Zlatan piacciono le grandi sfide ed è questa la speranza dei tifosi milanisti, ma anche di Boban e Maldini. I suoi compagni hanno dimostrato in sei mesi di non poter fare di più, dunque ora tocca a lui: resistere alle nefandezze, motivare l’ambiente e trascinare il Diavolo dove merita, con poco bastone e tanta tanta carota.