Partiamo dai numeri: undici giornate, quattro vittorie, un pareggio e addirittura sei sconfitte. Dato di per sé preoccupante, ma per fare un raffronto con una situazione simile, dobbiamo tornare addirittura a prima della Seconda Guerra mondiale. Al 1941 per essere precisi, quando il record di partite perse era lo stesso. Nemmeno nella stagione della retrocessione sul campo i numeri erano così orribili.
Chi pensava che cambiando Giampaolo la ruota sarebbe girata, si è subito dovuto ricredere. Anche con Pioli stesso trend al momento. Non era l’ex Samp il problema a quanto pare e, sebbene entrambi abbiano cercato i motivi di questo andamento, non hanno trovato soluzioni. Quello che ormai pare evidente è una squadra con limitati mezzi tecnici, ma soprattutto limitata esperienza, scotto da pagare per avere un undici base così giovane. È evidente che il Milan non riesca a reagire alle difficoltà, sembra preso dallo sconforto e quando va sotto – con l’eccezione della vittoria a Genova – non riesce a rimontare. La mancanza di un leader si fa sentire in questi casi. Un giocatore di esperienza a cui affidare testa e palla quando pesa e a cui aggrapparsi per riemergere.
L’altra evidenza è l’assenza di pericolosità offensiva. Il Milan ha la media di un gol a partita e, sempre escludendo la sfida contro il Genoa e il Lecce, non riesce a segnare più di un gol a partita. Con queste medie, difficile pensare di poter vincere le partite, soprattutto con una difesa che concede agli avversari. In più, va considerato come sono arrivati i gol: tre rigori, una punizione e un autogol. Quelli su azione diventano quindi solamente sei, fotografia di una manovra farraginosa e spesso troppo lenta. Quando si arriva al tiro, chiedere a Piatek e Paquetá per un esempio, manca la determinazione.
L’attacco rossonero non offre molte alternative in termini di caratteristiche: chi gioca sulla linea dei tre offensivi è spesso un trequartista o un esterno adattato, perciò si cerca spesso al convergenza al centro e si finisce drasticamente in un imbuto creato dalla densità avversaria. Piatek non sembra riuscire a tenere un pallone per far salire i suoi, Leao è bello ma inefficace e Calhanoglu e Suso – per prendere i titolari abituali – non hanno il killer instinct nelle loro corde.
La condizione fisica è un altro punto da prendere in analisi. Negli ultimi venti minuti, successo anche ieri con la Lazio, la squadra crolla un po’ per mancanza di brillantezza atletica, un po’ per i motivi sopracitati di mancanza di esperienza. Con partite di 70 minuti il Milan avrebbe 20 punti, uno in meno della zona Champions.
Il primo aspetto su cui lavorare, dunque, è la testa dei giocatori, che devono imparare a esaltarsi nelle difficoltà e tirare su la testa. Poi, a gennaio, la dirigenza dovrebbe inserire qualche nome nuovo per ambire a obiettivi europei, che ora sembrano tutti preclusi.