Tornati ai tempi di Farina

Il cda del Milan in data 19 dicembre 2013 rattificò la nomina del doppio amministratore delegato e sancì quel giorno la scissione dell’area sportiva e di quella economica. Fino a quel momento in casa Milan era funzionato tutto alla perfezione o quasi per 27 anni. Il Milan era un blocco granitico, tutti uniti, nelle vittorie e nelle sconfitte sul campo e fuori dal campo. Quel giorno, ufficialmente, si decise di dividere radicalmente le due aree. Da quel momento in poi in due ambiti sono stati gestiti in modo distinto, ma hanno avuto un comune denominatore: il rendimento negativo, una tendenza irrefrenabile, costante e disastrosa. Indipendentemente dai nomi scelti e dalle strategie messe in atto, la gestione dei due ambiti si è rivelata un fallimento. E non è nemmeno una questione di soldi perché nei due ambiti sono state bruciate tantissime risorse sia in termini economici sia a livello di immagine. Con risultati sempre negativi. L’unica, timida eccezione, è stata a livello sportivo la Supercoppa di Doha. Dopodichè solo delusioni o addirittura disastri.

Proprio dal 2013 il Milan non è più entrato in Champions League e, pur spendendo tanti soldi e cambiando tanti allenatori, ha avuto una squadra sempre più scarsa. Anno dopo anno. A livello commerciale non parliamone proprio: si sono succedute numerose figure e ognuna ha fatto malissimo. Tra le altre cose citiamo la scelta di vendere la sede di via Turati per andare in affitto nella costosissima e isolatissima Casa Milan (“festeggeremo qui i nostri trionfi”, disse qualcuno e mal gliene incolse perché il Milan non ha più vinto nulla) o, ancora peggio, il progetto dello stadio al Portello, che non ha mai visto la luce, ma che è costato molto per progetti e penali. Proseguiamo con i multimilionari ricavi cinesi che avevano promesso Fassone & co. E chiudiamo con il primo anno di Gazidis, preso e strapagato per aumentare i ricavi e che invece ha esordito con un bel “-30” rispetto a tre anni fa. Il compito dei dirigenti sportivi era quello di costruire squadre decenti con meno risorse del passato: sono riusciti a non raggiungere l’obiettivo pur spendendo di più. Il compito dei dirigenti “commerciali” era quello di mantenere o incrementare il valore del brand nonostante l’assenza di risultati sportivi. Anch’essi hanno sempre fallito e il valore del brand Milan è scivolato nella “serie B d’Europa”.

A sei anni di distanza la decisione di Berlusconi di dividere i due ambiti si è rivelata la peggiore idea possibile. Le tantissime persone scelte per svolgere i rispettivi compiti in questi 6 lunghissimi anni si sono rivelate peggio dell’idea stessa. Eppure durante tutto questo percorso, nonostante l’esercito di operatori della (dis)informazione che si prodigavano per elevare a verità assoluta le “veline” del palazzo rossonero, c’era qualcuno che aveva provato a mettere in guardia i tifosi. Qualcuno che dubitava delle doti e delle virtù di Barbara Berlusconi, Fabio Novembre, Bee Taechaubol, Victor Pablo Dana, Gerard Segat, Nicholas Gancikoff, Sal Galatioto, Yonghong Li, Han Li, Paolo Scaroni, Salvatore Cerchione, Gianluca D’Avanzo, Marco Fassone, Massimo Mirabelli e “dulcis in fundo” Ivan Gazidis. Tutta gente che, e sicuramente mi sono dimenticato qualcuno, ha contribuito a ridurre il Milan una “provinciale” del calcio che conta. Nessuno di questi nel Milan ci ha messo davvero un euro, tutti, chi più chi meno, hanno “percepito” soldi dal Milan.

Nell’elenco, volutamente, non ho inserito i nomi dei grandissimi giocatori del glorioso passato che si sono alternati e si stanno alternando a vario titolo nell’organigramma di questi sei anni di Milan. Non li ho inseriti perché voglio ricordare il loro nome legato a quello che di meraviglioso hanno fatto in campo e non fuori. Non li ho inseriti perché, chi più chi meno, sono stati utilizzati da chi li ha scelti per nascondere con i colori delle leggende rossonere le nefandezze che stavano combinando sulla pelle del nostro amato Milan. Tra l’altro tutte queste “glorie” sono state scelte per ricoprire ruoli da esordienti totali, con il concreto rischio di finire bruciati. E con l’effetto di non ottenere grandi risultati. Non sono un indovino, ma l’effetto dei danni che avrebbe provocato questo trend li avevo chiari fin da subito e non li ho mai nascosti. Adesso che i danni sono conclamati e che a livello sportivo e a livello commerciale il Milan è tornato quello dei tempi di Farina, c’è qualcuno che ha ancora il coraggio di dire che bisogna essere fedeli e sostenere la causa? Fedeli alla maglia sempre, ma sostenere le porcherie viste, evidenziate e denunciate in questi anni mai. Voler bene al Milan significa non aver paura di dire a tutti chi, in questi anni, sta facendo il male della nostra amata squadra del cuore. Chissà che cosa ci racconteranno all’Assemblea di lunedì 28.

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