Un anno fa oggi Paolo Maldini tornava al Milan. Lo faceva dopo aver rifiutato la proposta di Marco Fassone di far parte del progetto cinese. Lo faceva da dirigente, da direttore dello sviluppo strategico dell’area sport, al fianco di Leonardo.
Un anno dopo è cambiato tanto. Leonardo è al Psg, lui fa il direttore tecnico e al suo fianco ci sono Boban e Massara. Dal dualismo al triumvirato, da una posizione sostanzialmente indecifrabile a una perfettamente chiara: già solo questi fattori formali danno l’idea dell’evoluzione della sua personalità all’interno del club. E in effetti, poi, anche la pratica ci racconta di un Maldini cambiato, maturato e per certi versi migliorato. Se al fianco di Leo pareva più la spalla, quello che appare ma alla fine di decisioni non ne prende, oggi l’impressione è diversa. Con Massara e Boban, a primo impatto, sembra stare molto più a suo agio. Non che sia necessariamente lui a “comandare”, per personalità è più plausibile che sia il croato a fare la voce grossa, ma l’impressione è che i tre siano davvero un team ben costruito. E di questo Maldini non può che beneficiare. Lo si è percepito nelle occasioni, poche, in cui si è avuta la possibilità di sentirli – e sentirlo – parlare: maggior peso alle parole e spazio alla bandiera che ha scritto la storia del Milan, da giocatore.
In un anno è cambiato tanto: Maldini ora è la bandiera dirigente, lì non per caso o convenienza. Lì per rappresentare il suo Milan e raccogliere una delle sfide più ambiziose della sua carriera. Passare dagli scarpini e il campo alla cravatta dietro ad una scrivania è un salto importante. Di crescita sicuramente, naturale per chi – come Paolo – ha il Milan dentro. Un anno dopo, prosegue la storia che forse è destinata a non tramontare mai.