Estate 2015: Galliani guida il mercato di un Milan ancora targato Berlusconi e spende circa 100 milioni di euro. Estate 2017: l’estate delle “cose formali”, come dimenticare; il club di via Aldo Rossi viene rilevato dal broker Li e Fassone, coadiuvato da Mirabelli, compra undici giocatori per la bellezza di 240 milioni, stipendi esclusi. Estate 2018 infine, quella del Milan ai milanisti, Leonardo e Maldini: Higuain in prestito oneroso (ed eventuale diritto di riscatto, mai esercitato), Caldara scambiato alla pari con Bonucci, Bakayoko pure lui in prestito e gli acquisti di Laxalt e Castillejo. In questi quattro anni tra flop e flop, tanti (troppi) milioni spesi e una sola certezza: Alessio Romagnoli.
È l’11 agosto 2015 quando, su suggerimento di Sinisa Mihajlovic che lo ha allenato in blucerchiato fino a poche settimane prima, il difensore di proprietà della Roma diventa un giocatore del Milan. “Venticinque milioni più bonus sono troppi per una scommessa di 20 anni” si diceva; ed effettivamente erano tanti per un mercato diverso, non drogato come quello attuale. Ma con il senno di poi fu una mossa, l’unica probabilmente delle ultime finestre di mercato, vincente e lungimirante dell’ex AD dalla cravatta gialla e dei rossoneri in generale. Di fatto solo lui e Donnarumma, frutto del vivaio e non acquisto di mercato come Cutrone, rappresentano ad oggi un tesoretto per le casse del Milan.
Dopo un inizio così così, ricordiamo tutti quell’esordio a Firenze con tanto di rigore causato, il numero 13 milanista ha intrapreso un percorso di crescita esponenziale, legittimata dal fatto che in quattro anni col Diavolo il suo posto da titolare non è mai stato in bilico, né in discussione. Puntuale e preciso, Romagnoli ha raccolto l’eredità di un certo Alessandro Nesta, non solo per il numero indossato sulle spalle ma anche per classe ed eleganza, fuori e dentro il campo. Non a caso, fino a poche giornate dal termine del campionato è risultato, insieme a Van Dijke, unico difensore a non aver subito dribbling in tutta la stagione. Se proprio vogliamo trovare una pecca al centrale romano è la rudezza, espressa più a parole nei confronti del direttore di gara (4 ammonizioni stagionali per proteste) che sull’erbetta di gioco ai danni degli attaccanti avversari.
Non solo capacità difensive e tecnica, che peraltro gli sono valse il ruolo di “quasi titolare” in Nazionale: Romagnoli in questi millequattrocentosessanta giorni da milanista ha dismostrato professionalità ineccepibile e granitico attaccamento alla maglia, tali da guadagnarsi a soli 23 anni la fascia da capitano, accettando di ripercorrere, per buona pace di tutti i tifosi rossoneri, le orme di Baresi e Maldini. A far propendere per Alessietto, la decisione coraggiosa e leale di rinnovare un contratto nel periodo di maggiore incertezza societaria, quel luglio 2018 in cui il proprietario cinese stava per sparire da Milano senza più lasciare traccia. Leader tecnico, carismatico e uomo di valori. Tra flop e flop di mercato, un’unica certezza e si spera per sempre: capitan Romagnoli.
This post was last modified on 11 Agosto 2019 - 23:52