Il 1992, che è stato un anno di cronaca – principalmente – nera per l’Italia ci ha lasciato in eredità una partita fissa nella memoria di tanti cuori rossoneri (meno giovani), ma forse di cui solamente oggi scopriamo il senso. L’ironia vuole che in un pomeriggio di fine estate, precisamente il 13 settembre 1992, allo stadio “Adriatico” di Pescara i protagonisti del Milan di oggi (e di ieri) si incontravano in una pazza partita di inizio stagione.
CORSI E RICORSI
Chi l’avrebbe mai detto che in un match di 27 anni fa, che esulava da ogni logica di razionalità, (con i giocatori con la testa più in vacanza che in campo) dove il primo tempo ci regalava addirittura otto gol, che quei protagonisti in campo avrebbero rappresentato passato e presente del Milan. Perché in un pomeriggio, dove la muraglia Tassotti-Maldini-Costacurta-Baresi avrebbe fatto rimpiangere anche i peggiori N’Gotty e Chamot, la razionalità è difficile da ricercare (anche se Capello nel post scagionerà – forse ancora incredulo – la sua difesa). Era il Milan – appunto – di Fabio Capello, reduce dal suo primo scudetto e il Pescara sfavillante di Galeone, altro personaggio in cui si può ravvisare un segno del destino. Ebbene sì, perché dopo pochi secondi, Frederic Massara metteva un cross dalla destra che trovava l’inserimento di un certo – allora venticinquenne – Max Allegri che infilava Antonioli. Milan sotto e chi ci pensava? Ieri come oggi – sotto altre vesti- ecco Paolo Maldini che riportava i rossoneri a galla, sugli sviluppi di un corner. Compito ben più arduo quello che ha deciso di intraprendere ai giorni d’oggi la bandiera rossonera: quel giorno bastava il gol del pareggio, oggi i tifosi gli chiedono almeno “un pareggio di bilancio”.
DIFESE NON PERVENUTE
Pochi giri di orologio e Savicevic pescava Lentini che in sforbiciata portava avanti il Milan. In rosa figurava anche un altro fantasista appena arrivato – come oggi- tra le file del Milan, ma non era stato convocato convocato quel dì, tale Zorro Boban. E Gazidis? No, lui non era in tribuna, dopo la laurea in Giurisprudenza, non calcava ancora i campi da calcio, ma faceva il praticante a New York presso un noto studio legale. Tornando alla cronaca, il Pescara, invece che abbacchiarsi si rinvigoriva, piazzando un tris inaspettato che avrebbe steso chiunque. Una deviazione di Baresi, oggi brand ambassador del Milan, provocava il pareggio. Lo scatenato Allegri, sempre su deviazione di un distratto Baresi, portava il Delfino in vantaggio. Il 4-2 è opera del neo ds rossonero Riky Massara, al primo centro in Serie A, che saltava un inadeguato Antonioli e depositava in rete, complice la difesa del Milan in bambola, che sbagliava il fuorigioco. E siamo solamente al minuto ventitré. Il Milan non si perdeva d’animo e con due stoccate di Marco Van Basten, di cui il secondo di rara bellezza, andava al riposo col pareggio in tasca. Il secondo tempo si giocava, causa caldo afoso, a ritmi blandi, ma bastava una giocata di Rijkaard in verticale per il solito cigno di Utrecht, che con un delizioso tocco sotto superava il portiere di casa e indirizzava la partita verso gli uomini di Capello. 4-5 e tutti a casa. Purtroppo no, di un Van Basten non c’è traccia nel Milan di oggi, un fuoriclasse fuori dal comune che sappia risolvere da solo le partite.
L’ALLIEVO DI GALEONE
All’appello ne mancava solo uno: l’attuale tecnico Marco Giampaolo. Ma nella panchina del Pescara c’era il suo mentore, quale miglior segno del destino. Come dimostra la cena in Abruzzo di qualche giorno fa, Galeone è rimasto molto legato con i suoi due allievi, Allegri e Giampaolo (è stato vice di Galeone al Pescara). Nello stile di gioco il secondo lo ha ripreso di più, mentre il primo ha prediletto più il risultato rispetto al gioco. Spumeggiante davanti, non impeccabile dietro il Pescara di Galeone. Come sono state spesso le squadre di Giampaolo. Chiedere a Quagliarella per informazioni. Ci auguriamo che Giampaolo, da quella cena possa aver preso qualche consiglio in più dai suoi colleghi, rubando un po’ da Galeone e un po’ da Allegri (ultimo tricolore del Milan), perché la cultura sportiva del Milan, come egli stesso ha sottolineato, richiede di vincere e convincere.
Probabilmente, in una partita senza senso, l’unico senso si può ravvisare nell’eredità che quel pomeriggio ci ha lasciato: il Milan che si sta formando. Alla fine della stagione quel Milan, che viveva di luce riflessa di quello di Sacchi ma non giocava altrettanto bene, vinse lo scudetto. Risultato troppo ambizioso per questo Diavolo, ma è lecito sperare in un piazzamento d’onore. Se sarà un segno del destino lo scopriremo, d’altronde sognare non costa nulla.
This post was last modified on 23 Giugno 2019 - 15:41