Sono passati cinque giorni da quando – sul sito ufficiale del Milan – abbiamo letto il seguente comunicato: “Leonardo Nascimento de Araujo (Leonardo) ha informato AC Milan della decisione di lasciare il Club al termine della stagione con effetto immediato. AC Milan ha accettato le sue dimissioni“. Dopo soli dieci mesi dal suo ritorno in rossonero, il dirigente brasiliano – indicato da Elliott come l’uomo che doveva ricostruire il Milan vincente – ha lasciato il club di Via Aldo Rossi, pare per delle divergenti vedute con l’amministratore delegato Ivan Gazidis sul futuro del club. In parole povere, Leonardo avrebbe voluto una squadra formata da giocatori di esperienza e giovani promesse, mentre Gazidis invece punterebbe sulla costruzione di una rosa di under 23 da valorizzare e poi rivendere.
Tutto lecito: è giusto che se un dirigente non condivide la politica dell'”azienda” per cui lavora, si faccia da parte. E non è nemmeno una novità, visto che Leonardo è un vero e proprio “specialista delle dimissioni“. Quelle fatte pervenire al Milan, infatti, sono le quinte dimissioni del brasiliano nella sua carriera post-calciatore: un record, se si pensa che il lasso di tempo in questione è di soli nove anni. Il primo strappo lo ebbe proprio al Milan, con l’allora presidente Silvio Berlusconi: era il maggio del 2010 quando Leo firmò la sua prima rescissione, nemmeno un anno dopo l’insediamento sulla panchina rossonera lasciata libera da Carlo Ancelotti. Qualche mese dopo, il grande smacco: a dicembre Moratti lo chiama sull’altra sponda del Naviglio per “salvare” l’Inter di Benitez. Non bastano il record di punti nelle prime tredici partite ed il sogno scudetto accarezzato, perchè a luglio arriva l’ennesimo inaspettato addio.
A quel punto, Leonardo lascia l’Italia per abbracciare il progetto del Paris Saint-Germain. L’emiro Al Khelaifi gli affida il ruolo di ds ed il brasiliano può attingere a piene mani dagli sterminati fondi qatarioti: è l’esperienza più lunga finora della sua carriera (2 anni e una settimana), durante la quale spende quasi 400 milioni per costruire una corazzata, che però vince solo in patria. “Scappato” dalle pressioni parigine, Leonardo si concede una lunga pausa dalle scene, aspettando ben quattro anni per tornare in pista. Come? Di nuovo da allenatore, stavolta nel “piccolo” Antalyaspor. Poco più di due mesi dopo il suo arrivo (siamo nel dicembre 2017), ecco l’ennesima lettera di dimissioni, a causa dell’addio del presidente Ali Safak Ozturc che l’aveva portato ad nel sud della Turchia. Il resto è storia recente, con l’arrivo al Milan, una campagna acquisti fatta di fretta e furia in estate, i colpi Paquetà e Piatek a gennaio e poi l’addio di martedì scorso contestuale a quello di Gattuso. Il tutto in attesa della prossima avventura (Brasile? Spagna? Nuovamente il PSG?)
Per tirare le somme, dunque, gli eventi sopra raccontati danno dimostrazione di un uomo inquieto, poco incline ai compromessi con persone – che si tratti di allenatori, amministratori delegati, presidenti – che non condividono il suo carattere ed il suo stile. Un giorno, spiegando il suo addio da allenatore del Milan e riferendosi a Berlusconi disse: “A Narciso tutto quello che non è specchio non piace“, una frase che magari adesso può riferire anche a sè stesso.
Un appunto finale, però, dal basso della mia modestia, mi sento di farlo al bravo Leonardo: ci faccia sentire le sue ragioni, ci esprima il suo punto di vista. Non serve granchè: basta un comunicato od un’intervista ad un giornale o ad una tv (e lui non avrebbe alcun problema ad ottenerla), nella quale spieghi a noi comuni mortali come sono andate veramente le cose. E se non vuole farlo, che almeno rivolga un “in bocca al lupo” al mondo Milan ed saluto ai tifosi rossoneri, la maggior parte dei quali lo anno accolto con onori e tappeti rossi. Uscire in silenzio dalla porta secondaria manco fosse un ladro in piena notte non è poi una grande dimostrazione di stile…