Intervistato da gianlucadimarzio.com, Antonio Nocerino ha ricordato così la sua esperienza al Milan: “Ai rossoneri dico grazie per un motivo: con loro ho imparato a lavorare a mille all’ora. Nesta, Thiago Silva, Kakà e Ibrahimovic: in squadra con me c’erano solo top player, si lavorava a ritmi che non avevo mai visto prima. Arrivai al primo allenamento e mi preparai per giocare in partitella. Al primo contrasto con Ibrahimovic, Zlatan mi diede un’ancata e finii cinque metri più in là. “Cominciamo bene!”, pensai. Dopo un po’ di tempo ho capito come funzionava: con Zlatan c’era poco da scherzare. Pretende sempre il massimo in ogni occasione, che sia una partita oppure un allenamento. Tanti, come me, ne hanno tratto un vantaggio enorme. Una volta che ti abitui a non perdere la concentrazione, gli errori diminuiscono e lavori sempre al 100%. Se non hai carattere, Ibra ti affossa. Se vuoi giocare con lui, devi ragionare come un vincente.”
Tutti i gol grazie a Ibra? Nocerino ha le idee chiare: “Eh no! Basta con questa storia. Quell’anno Zlatan mi fece appena due, tre assist. Il resto, me lo sono dovuto procurare da solo…”.
MOMENTO MAGICO
Il momento più bello, il gol al Camp Nou: “Firmai il momentaneo pareggio, ho provato un’emozione incredibile. Io che facevo gol al Camp Nou, una storia pazzesca. La cosa più bella è che quel giorno, in tribuna, c’era mio padre. Era la prima volta che assisteva dal vivo ad un match all’estero, aveva fatto centinaia di chilometri per me e a fine partita era in lacrime. In quel gol ho rivisto tutti i sacrifici di un uomo che ha sempre creduto in me, che mi ha spinto in alto, pur senza chiedere mai niente a nessuno. Segnare quel gol è stato come realizzare un sogno, prima suo e poi mio: stupendo!”.
DIVORZIO
Sulla fine del rapporto col Milan: “Mentre io mi ero abituato a giocare con un certo tipo di giocatori, la squadra stava cambiando sotto diversi aspetti. Tanti compagni lasciarono Milano, io andai in prestito prima al West Ham, poi al Torino e infine al Parma, che era a un passo dal fallimento. Una volta tornato in rossonero, mi resi conto che quel posto non faceva più per me. Ero rimasto fuori ma in carriera, come nella vita di tutti i giorni, sono stato sempre abituato a non chiedere niente. Ho capito da me che era arrivato il momento di cambiare aria. La prima cosa che guardo nei club per i quali lavoro è l’aspetto umano. E io, in quel Milan, non ce la facevo più”.