Alla quart’ultima giornata di Serie A si è rivisto il vero Gennaro Gattuso. Diciamo la verità: qualcuno aveva riconosciuto Ringhio in quell’uomo che si presentava alla conferenze stampa o davanti alle telecamere con barba incolta, occhi bassi e parole degne di un funerale? In pochi avevano creduto che quello fosse il Gattuso che aveva abituati tutti al carattere, alla grinta, alla voglia di giocarsela sempre. Contro tutto e contro tutti. Di fronte ad ogni avversità, come quelle che gli sono piovute addosso in questo anno e mezzo di gestione del Milan.
Nell’ultima settimana si è rivista la “cazzima” di Rino, capace prima di portare tutta la squadra in ritiro forzato dopo un clamoroso ritardo (non il primo, si è saputo) di Bakayoko e poi coraggioso ieri a mettere dentro il redivivo Josè Mauri al posto di quello stesso Bakayoko indolente e avvelenato per la panchina impostagli. Tre mosse (ritiro, panchina, cambio) che hanno fatto capire – se ce ne fosse bisogno – come Gattuso sarà l’ultimo a mollare gli ormeggi e rassegnarsi alla nave che affonda. Oggi il Milan è a tre punti dalla Champions, non potrà fare affidamento solo sulle proprie forze, ma sperare che l’Atalanta inciampi sabato prossimo con il Genoa o la domenica successiva a Torino contro la Juventus.
La salita è ripida, praticamente proibitiva. Ma è tale da esaltare un guerriero come Ringhio, quello che abbiamo imparato a conoscere quando non mollava un centimetro in campo nemmeno nelle amichevoli con la Primavera. Il bello è che lui stesso è consapevole di aver perso la fiducia della maggior parte dei giocatori e avere in tasca il benservito della società. C’è da scommettere che tutto questo ardore non sia frutto solo di un disegno che lo vuol portare via dal Milan con un risultato raggiunto per se stesso. No, lui lo fa davvero per il Milan principalmente. Ed è praticamente l’ultimo rimasto a farlo.
This post was last modified on 7 Maggio 2019 - 22:33