Se nessuno ci è ancora riuscito un motivo ci sarà anche. Eppure – per i tanti – sembrava già tutto fatto: San Siro raso al suolo, stadio nuovo, Milan e Inter pronti a dividersi le mazzette dei ricavi. Poi – oggi – ci ha pensato il sindaco Beppe Sala a far tornare tutti con i piedi per terra: “Ok al nuovo stadio, ma che sia di proprietà del Comune”.
Insomma, siamo punto e daccapo. Il Comune di Milano lo stadio non lo vuole mollare, come volevasi dimostrare. Del resto grazie a San Siro incassa oltre 8 milioni all’anno ed era immaginabile che non si volesse privare della propria fetta nel momento in la torta si stava facendo più grande e succulenta, ovvero – per uscire dalla metafora – ora che due compagini meneghine sono così vicine (sono ammessi scongiuri) a tornare in tandem a rappresentare l’italianità nell’Europa che conta, e dunque ad aumentare l’introito dei botteghini.
Siamo – ahinoi – di fronte all’ennesimo paradosso all’italiana, dove due società provano a emulare il modello internazionale progettando un impianto tutto loro, con il fine di crescere ed incrementare il fatturato, ma l’amministrazione glielo impedisce; o meglio, glielo concede ma in cambio di qualcosa o comunque con la condizione di essere coinvolta nel progetto per goderne dei vantaggi. Le dichiarazioni di Sala – che hanno un sapore ostaggiante – sono di quelle che ti mettono di fronte alla realtà. Una realtà che ti dice schiettamente che le cose – anche volendo – non possono (o non vogliono) cambiare; neanche costruendo lo stadio più illuminato, capiente e futuristico del pianeta. Per citare Troisi, si ricomincerebbe (di nuovo) da tre: Milan, Inter e Comune.
#SanSirononsitocca, l’hashtag che ha spopolato nelle ultime ore, ci aveva visto lungo. E soprattutto oggi mi viene da dire che a questo punto è meglio così, con buona pace di tutti i nostalgici. Perché tanto se la proprietà rimane ugualmente in mano all’amministrazione, non ha molto senso costruire un nuovo impianto. Perché San Siro è la storia del calcio, italiano e mondiale. E non lo dico soltanto perché è il palcoscenico in cui ho visto dal vivo la prima vera (e non quella al parchetto) partita di pallone; e neanche perché è quello in cui ho visto Inzaghi infilare Lobont in spaccata aerea nel 2003, Kakà e Seedorf annichilire la banda-Ferguson sotto un’incessante pioggia dal risvolto epico, Shevchenko trafiggere l’Inter, in ogni dove e in ogni modo (lo so, purtroppo sono giovane e i ricordi non sono poi così tanti). Lo dico perché lo dice chi ci gioca e chi ci ha giocato, da Maradona a Zidane, da Rivera a Ronaldo.
Ma soprattutto perché San Siro è Milano, ne è simbolo e ne caratterizza indelebilmente lo skyline metropolitano, con quelle possenti torri spiraleggianti e quelle svettanti travi rosse. Perché in fin dei conti San Siro è la casa del Milan, dell’Inter e di tutti noi milanesi che altrimenti non sappiamo dove trascorrere la domenica (ormai anche il sabato) e non saranno i pochi milioni in più nelle casse – perché, sulla base di quanto annunciato oggi da Beppe Sala, di questo si tratta – dei due club a farci traslocare. Il Sindaco oggi – con un proclamo tanto categorico quanto, per certi versi, paradossale – ha dato un importante consiglio a Gazidis e ad Antonello: lasciate perdere, meglio che ci teniamo San Siro.
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