Il direttore sviluppo strategico dell’area sport del Milan, Paolo Maldini, è stato intervistato da DAZN al termine del match contro l’Atalanta, parlando di Krzysztof Piatek e Lucas Paquetá: “Paragone con Shevchenko? Andriy è unico e sempre lo sarà, ma Piatek ha già fatto vedere cose incredibili, è molto concentrato e già nella sua conferenza stampa espresse concetti molto chiari. Però per arrivare ai livelli di Sheva ce ne vuole. Paquetà ci dà qualità a centrocampo, la transizione tra centrocampo e attacco non era il nostro forte prima di gennaio, mentre Piatek ci ha dato grande presenza in area. Paquetà ha fatto un solo mese di vacanza, veniva al Brasile ed è stato impiegato titolare già nella prima partita e da lì non è mai uscito. Il calcio brasiliano è molto diverso dal nostro e quello che ci ha sorpreso di più è l’applicazione che ci mette“.
Queste, invece, le parole di Maldini a Sky Sport: “Gattuso è uno che ascolta i nostri pareri sotto tutti i punti di vista. A volte non gli piacciono, ma li ascolta. I nostri obiettivi sono quelli di dare solidità alla squadra, con giocatori forti ma molto giovani. Se riusciamo ad avere questa base per il futuro siamo sulla nuova strada. Parlare di un ambiente calcistico come il Milan dall’esterno è molto difficile. Da giocatore vedevo che le voci esterne non corrispondevano alla realtà. Higuain? Un matrimonio andato male. Un giocatore deve capire però che oggi Milanello è un contesto sano, è uno dei posti in cui ci si allena benissimo e in questo contesto oggi un giocatore può crescere. L’idea è dare una solidità a questi ragazzi che in tre anni hanno visto il passaggio dalla presidenza Berlusconi all’altra presidenza e poi alla proprietà attuale. Questa è una squadra molto giovane, ma è forte. Secondo me, secondo noi, all’inizio si sottovalutavano. Ne eravamo convinti. Romagnoli è un giocatore silenzioso, io mi ricordo com’ero a 23 anni, non ero pronto ad avere la fascia sul braccio. Molte volte si chiede una crescita troppo rapida per un’esigenza che c’è ogni domenica, da questo punto di vista lui è cresciuto molto. La squadra è coesa, con l’allenatore che ascolta, dice e impara. I ragazzi pensavano alle occasioni buttate negli anni passati. Un certo ordine ed una certa direzione della società penso sia però fondamentale. Un dirigente è diverso da un calciatore, la storia rimane e pesa sulle spalle di questi ragazzi. E’ difficile giocare in uno stadio come San Siro che ti perdona poco, ma giocare in questa squadra ti fa raggiungere livelli dove solo qua puoi arrivare“.
This post was last modified on 16 Febbraio 2019 - 23:29