Sheva e Kakà ne sanno qualcosa. Il desiderio, legittimo sicuramente, di voler arricchire la propria carriera con nuove esperienze, non sempre si rivela una mossa vincente. L’ambizione non è un difetto, ma a volte si rivela un salto nel vuoto.
E’ successo anche al Pipita, quasi un secondo Maradona per Napoli, divenuto poi presenza superflua a Torino. Su di lui, nei due anni bianconeri, tanti pettegolezzi e rancori dei napoletani e poche, pochissime prime pagine “sportive”.
La Juve, infatti, lo ha scaricato, e con il Milan il Pipita sperava di ritrovare il suo posto in un mondo da cui era praticamente rimasto fuori. Sotto l’ombra del Vesuvio ha fatto la differenza, divenendo punta di diamante, leader e uomo squadra in pochissimo tempo. E i milanisti credevano nello stesso epilogo sotto le luci della Madonnina. Ma la storia non si è ripetuta.
La sua leadership in rossonero non si è espressa, rimanendo soltanto una qualità in potenza. I tifosi lo hanno atteso e difeso, ma anche la società adesso vacilla. L’uscita infelice di Leonardo aumenta le pressioni sull’argentino e avvicina il momento del suo addio.
Al di là dell’opportunità, o meno, di rendere pubbliche certe tensioni e insoddisfazioni, resta l’evidente, nuova sconfitta del Pipita, che dopo pochi mesi potrebbe ritrovarsi di nuovo senza una squadra e senza alcuna certezza.
Un altro esempio di come il calcio dia e tolga in un attimo. Basta una scelta sbagliata.