Il paradosso della Licenza UEFA: concessione ed esclusione, sarebbe assurdo. Cosa c’è dietro?

Ottenere la qualificazione sul campo, a volte, non basta per disputare, nel corso della stagione successiva, le competizioni europee. Il mutamento di condizioni di natura economica, l’assenza di uno stadio a norma o ulteriori sanzioni comminate dall’UEFA, nel corso degli anni, hanno portato all‘esclusione di club che, secondo il verdetto emesso dal rettangolo verde, avrebbero pienamente meritato di giocare Champions o Europa League. Un fattore con cui, nelle ultime settimane, sta iniziando a fare i conti anche il glorioso AC Milan. Che, di coppe europee, in bacheca, ne ha meno solamente del Real Madrid.

La premessa di quest’editoriale è l’assoluto desiderio di non generare ‘complottismo’, bensì sollevare un quesito rimasto, sino ad oggi, fin troppo ignorato. Il deferimento della UEFA, giunto nella giornata del 22 maggio, ha gettato in una cupa preoccupazione tifosi e vertici societari. Va sottolineato, però,  che il Milan, solamente 15 giorni prima della bocciatura arrivata da Nyon aveva regolarmente ottenuto la Licenza UEFA, conditio sine qua non per la partecipazioni ai tornei continentali.

Cos’è la Licenza UEFA

La Licenza UEFA rappresenta l’attestazione, rilasciata dalla FIGC, che una società abbia tutti i requisiti per partecipare nella stagione successiva alle competizioni UEFA, il cui Manuale delle Licenze svolge il ruolo normativo. La normativa definisce una serie di standard qualitativi ben definiti, fondati sui principi chiave quali trasparenza, integrità, affidabilità e capacità. Oggetti dell’osservazione sono i requisiti strutturali (in soldoni, lo stadio del club), sportivi (presenza di un efficiente settore formativo)  ma anche organizzativi, legali ed economico-finanziari.

A prescindere dal rilascio della Licenza, comunque, i club sono tenuti sotto attento monitoraggio anche da parte dell’UEFA e hanno l’obbligo di rispettare quanto previsto nell’“UEFA Club Licensing and Financial Fair Play Regulations”.

Precedenti italiani

Tre, principalmente, i casi di squadre italiane che, negli ultimi 15 anni, qualificatesi per una competizione europea sul campo, non vi hanno potuto prendere parte. In principio, nel 2006 fu il Messina. I biancoscudati, arrivati settimi in Serie A, avrebbero potuto legittimamente partecipare alla Coppa Intertoto. Otto anni dopo, invece, toccò al Parma, giunto sesto, venire escluso, in favore del Torino – che beffò proprio il Milan grazie agli scontri diretti – dall’Europa League, al pari del Genoa appena 365 giorni dopo. Da notare, poi, che i siciliani fallirono appena quattro anni dopo, destino che per gli emiliani si materializzò solamente un anno dopo l’esclusione.

Analisi

Va da sé che l’isterismo scaturito nelle ultime settimane dall’euro-no al Milan è privo di qualunque certezza economica. Anche ponendo, volendo optare per un ragionamento tendente all’assurdo, che Yonghong Li non abbia la benchè minima possibilità economica di gestire il Milan, questo passerebbe nelle mani del fondo Elliot. A cui, di certo, i solidi non mancano. La paura di un possibile default non è solo irrazionale. È folle.

Fatta doverosa premessa, il quesito che nasce spontaneo riguarda l’incongruenza fra la concessione della Licenza UEFA, che in linea teorica certifica che l’Associazione Calcio Milan ha le garanzie strutturali, sportive, organizzative, legali ed economico-finanziarie per partecipare all’Europa League 2018-2019 ed il deferimento arrivato da Ceferin e soci.

Mossa preventiva?

Difficile, dunque, darsi una spiegazione concreta. Seguendo tale ragionamento, infatti, la logica conseguenza risiede in una cospicua e corposa sanzione di cui verrà fatto oggetto il Milan ma, certamente non l’esclusione. Sarebbe, lo ribadiamo, fuori da ogni logica. Anche nel caso si tratti di una tattica mirata a prevenire problemi – perchè negare la loro esistenza sarebbe parimenti stupido – più gravi di quelli che, al momento, aleggiano cupamente sopra lo spiovente tetto di Casa Milan.

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