Patrick Cutrone, a margine della presentazione del libro “La Giovane Italia”, ha parlato del percorso che l’ha portato a diventare un giocatore professionista: “Non è stato semplice, visti gli impegni, la famiglia e il Liceo Scientifico. Finivo la scuola, mangiavo un panino, prendevo il pullmino, per poi tornare a casa alle 9 di sera e studiare. La voglia di giocare a calcio ha vinto su tutto. Questa voglia mi è stata trasmessa da mio padre, che mi dava consigli, l’ho visto sempre come punto di riferimento, ma ho sempre avuto dentro la voglia di giocare e la voglia di vincere. A me non piace perdere, mi piace dare sempre il massimo. Prima delle partite, diciamo che sono un po’ teso, ho i miei riti scaramantici, così come ero teso nelle giovanili. Ho sempre sentito le partite, sia che si trattasse di amichevoli, sia che si trattasse di gare ufficiali. Una volta in campo, perdo questa tensione e cerco di fare del mio meglio. Non c’è stato un momento preciso dove ho capito di poter arrivare, ma mi allenavo dicendo che avrei dovuto migliorare per arrivare in alto. La testa conta tanto. Puoi essere un fenomeno, ma, se non hai la testa, non vai avanti. Consiglio ai giovani? Sinceramente, quello che ho detto prima, serve prefissarsi un obiettivo e dirsi di dovercela fare. Al massimo, poi, va male, ma bisogna fare di tutto per arrivarci. Ho avuto la fortuna di fare mezzo anno ad allenarmi in Prima Squadra, senza essere convocato. Ma è proprio in allenamento che scopri velocità e livello della Prima Squadra. E’ lì che ho imparato”.
E ancora: “Filippo Galli mi ha sempre seguito, mi ha dato consigli, lo ringrazio: è anche grazie a lui se sono arrivato qui. Un giocatore che mi ha impressionato è Bellanova, ha dimostrato grandi cose. Il rimprovero più propedeutico di mio padre? Ce ne sono tanti, sulla scuola, voleva che anche lì fossi al 100% con la testa”.
Interviene papà: “Esultanza vicino ai parenti, dove c’erano i tifosi del Napoli. Gli avevo detto di non esagerare nell’esultanza”.
Sul paragone con la Francia e con Mbappé: “In quella finale, solo in due avevano un paio di presenze in Serie A, Barella e Locatelli. Loro avevano mezza squadra che già giocava e segnava nella Ligue 1. Quindi, la più grande differenza la fece l’esperienza, anche se sono innegabili le loro qualità”.