La sensazione è quella di precipitare in un baratro di cui non si vede nemmeno il fondo. Da milanista provo questa sensazione, a cominciare da quell’inizio 2012. All’epoca il Milan lottava con la Juve per lo scudetto e si giocava con il Barça il passaggio alla semifinale di Champions League. Nessuno poteva immaginare quello che sarebbe capitato. Ma io iniziai a provare quella sensazione.
La “discesa in campo” di Barbara Berlusconi e la devastante diarchia del doppio ad hanno per la prima volta minato quello che era sempre stato un caposaldo di casa Milan, cioè l’unità interna (parafrasando le recenti parole di capitan Maldini). Spaccatura interna alla famiglia Berlusconi, da una parte Barbara che voleva i soldi e il potere che le spettava, dall’altra Marina e Piersilvio che volevano tutelare il patrimonio in un periodo in cui la crisi di Mediaset e delle altre aziende di casa cominciava ad essere conclamata. La guerra interna tra Galliani e Barbara ha prodotto rapidamente un netto peggioramento sia dal punto di vista sportivo sia dal punto di vista economico del Milan. Le perdite di bilancio rimanevano le stesse degli anni d’oro ma i risultati non arrivavano più. Inoltre gli utili della “controllante” Fininvest non giustificavano più uno sgravio fiscale per cifre così elevate.
Non a caso, a partire dal bilancio 2014, con effetto retroattivo nel 2013, Fininvest smise di accollarsi le perdite del Milan e iniziò a lasciarle in seno alla società rossonera. A quel punto la famiglia non poteva più permettersi un asset che non produceva niente e generava milioni di perdite a ogni esercizio e allora, dopo oltre due anni di faticosa ricerca da Mr Bee fino a Yonghong Li ha trovato il modo di far uscire il Milan dal bilancio di Fininvest. Permettendo oltretutto di immettere capitali freschi nelle casse della controllante. Non a caso, grazie alle famose “caparre”, tutti i soci delle holding di famiglia hanno potuto “staccarsi” un croccante dividendo alla chiusura del bilancio 2016. Festeggiato con la Supercoppa di Doha, l’ultimo capitolo di una storia bellissima che stava per finire malissimo.
E la fine è proprio quella che stiamo vivendo dal famoso “closing” fino ai giorni nostri. Quel “closing” che era stato salutato dalla gran parte dei milanisti come una “liberazione” e che invece si sta rivelando purtroppo una condanna. Dall’aprile 2017 a oggi i tifosi del Milan sono stati presi in giro in tutti i modi e ogni volta si sono dimostrati disposti a credere alla baggianate che venivano loro regalate come polpette avvelenate. Dal ruggito del Huarong allo stato cinese che stava dietro alla cordata, dai 300 milioni di incremento del fatturato grazie al merchandising in Oriente al mercato da 250 milioni sprecati per avere una squadra che era sesta ed è rimasta sesta. Una conduzione scellerata sotto ogni punto di vista. La sentenza dell’Uefa purtroppo non sembra l’ultimo capitolo di questa farsa.
Il Fair Play Finanziario è stato introdotto dall’Uefa nel 2009 e dal 2009 al 2017 il Milan non ha mai e dico mai avuto un bilancio in positivo. Ma ha sempre regolarmente partecipato a tutte le competizioni europee e il massimo organismo internazionale non si è mai sognato di comminare nessuna sanzione. Quest’anno invece ha pesantemente punito il Milan e questa dirigenza ci vuol far credere che la sanzione sia arrivata per i bilanci 2014/17? Il ragionamento dell’Uefa è stato molto semplice: prima avevate i debiti, ma eravate proprietà di un colosso economico mondiale che garantiva per voi quindi era tutto a posto. Adesso avete i debiti ma il 99% delle azioni appartiene a una società anonima lussemburghese che di cinese ha solo la “scatola”. Non certo il proprietario che per l’Uefa è un signor nessuno. L’Uefa non si fida. Non perché è brutta e cattiva, ma perché cerca di far rispettare le regole.
Non a caso lo stesso Milan fa sapere che le uniche speranze per vincere il ricorso al Tas sono legate all’eventuale nuovo proprietario. Ma come? Se le sanzioni sono per il pregresso per quale motivo il Tas dovrebbe farsi convincere da un nuovo proprietario? Quindi o le sanzioni sono per i bilanci 2014/17 e allora non c’è Commisso che tenga, oppure sono legate alla “credibility” (come scritto nel dispositivo di Nyon) di Yonghong Li. Delle due l’una. Nel secondo caso l’avvento di un nuovo proprietario più credibile potrebbe far cambiare idea al Tas. E tutto sommato speriamo che sia così. In quel caso sarebbe conclamata l’ennesima bugia uscita da via Aldo Rossi, ma ormai non ci facciamo nemmeno più caso.
Guardando al futuro, dal mio punto di vista penso che il passaggio a Commisso sia la cosa più scontata. Ma non mi rasserena per nulla. E’ vero questo, a differenza di Li, ha un cognome italiano, una faccia più familiare e soprattutto un vero patrimonio personale. La trattativa che ci stanno raccontando con Li è ovviamente una pagliacciata poiché è tutto già scritto e deciso. Che cosa non mi convince di Commisso? Tre cose. La prima, molto romantica è la sua juventinità, ma sicuramente sarà meno juventino Commisso del nostro attuale ad e del nostro attuale capitano, quandi faccio finta di niente.La seconda, ahimè, molto più rilevante è rappresentata dai debiti che gravano sulla sua società Mediacom che, oltretutto in America, guarda caso, si è sempre occupata di tv.
La terza, un indizio non da poco, è che Commisso non ha ancora comprato il Milan ma ha già pensato di affidarsi a un’agenzia di comunicazione italiana. Guarda caso, la stessa, a cui si erano affidati Gancikoff e Galatioto, la stessa a cui si era affidata la Sino Europe, gli stessi amici di Fassone che avevano lavorato con lui fin dai tempi del passaggio dell’Inter a Thohir. Strano che un nuovo acquirente si metta nelle mani della stessa agenzia a cui si era affidato il venditore. Del resto si sono dimostrati bravissimi, dato che avevano fatto passare Yonghong Li per un grande magnate della finanza asiatica.
In base alla stessa logica, non mi stupirebbe che il nuovo proprietario mettesse tutto in mano all’ad della vecchia proprietà, anche questa cosa piuttosto anomala, soprattutto considerando questo anno di gestione. Poi quando leggo che il sostituto di Fassone potrebbe essere Gandini, fido di Galliani e storico direttore organizzativo del Milan berlusconiano, mi torna in mente la più longeva sit com della televisione italiana, un must delle reti Mediaset. Mi riferisco a “Casa Vianello”, una serie televisiva che nei suoi 338 episodi oltre ai mitici Sandra e Raimondo, vedeva la presenza di una serie di comparse che in ogni puntata cambiavano ruolo ma erano sempre gli stessi. C’era quello che faceva l’idraulico e la volta dopo il medico, c’era quella che faceva l’infermiera e la volta dopo la segretaria e poi tornava a fare l’infermiera ecc ecc. Alcuni ruoli, come quello del portinaio, non cambiavano interprete. La caratteristica di ogni episodio era che finivano tutti allo stesso modo. Proprio come tutte queste cessioni del Milan. Che noia, che barba, che barba, che noia.