Il giorno del derby non è un giorno come gli altri. (E fin qui, tutti d’accordo). Ma neppure il giorno prima e il giorno dopo. E qua viene il bello. Una partita di calcio ti cambia una giornata (e già questo, di per sé, non è banale), un derby ti cambia sabato, domenica e lunedì.
Il giorno prima è il giorno dei pronostici e degli intenditori imparziali. Del tipo: “Tranquillo che vincete voi: siete troppo più forti”. (E poi, puntualmente, …). “Vince l’Inter, si sa che il derby lo vince la sfavorita”. “Alla fine loro sono quarti e l’ultima l’hanno vinta. Però questo Milan è tanta roba. Il pari ci sta”. Di solito chi ci prende poi te lo rinfaccia per un paio di settimane. Ma andiamo oltre.
Il giorno prima è il giorno dei dibattiti infiniti fra tifosi-allenatori. Nonché giorno di scommesse: “Se vinciamo…”.
Il giorno prima, più di ogni altra cosa, è il giorno del gufo. Ci sono tre tipi di gufo:
1) IL SUPERSTIZIOSO
Il superstizioso è quello che crede veramente che rovesciare il sale possa arrecare sfortuna. E’ il gufo che gufa e, cosa peggiore, ci crede per davvero. In pratica crede la vittoria possa concretamente dipendere dalla qualità della gufata.
2) IL PROVOCATORE
Il provocatore è il gufo professionista. Lo fa con divertimento, gli piace proprio. E’ malizioso e totalmente ingiustificato. Spesso della partita non gliene importa neppure granché.
3) IL FINTO REALISTA
Il finto realista è colui che giustifica (o perlomeno prova a farlo) il suo essere gufo. In qualche modo tenta di dimostrarti con dati parzialmente oggettivi l’impossibilità di vincere dei suoi. E tu quasi ci caschi.
Il giorno, quello vero, non è altro che il giorno del derby. E già così, di per sé, basterebbe. Ma pure di tante altre cose.
Inizia più o meno così, ancora nel letto: “Oddio ma oggi c’è il derby”. Una volta sveglio e del tutto consapevole, poi, ti rendi conto che anche le donne tifano: e fu così che furono tutte tifose. Un po’ perché la donna che se ne intende piace, un po’ perché effettivamente “il rosso e il nero sono meglio del nero e il blu”.
Il giorno del derby esci e sono tutti un po’ orgogliosi. Il ragazzo col cappellino, il bimbo con la maglietta, il vecchio con la sciarpa (anni ’60). E quando ci si guarda, per strada, da puri sconosciuti si è già storici rivali. O compagni di battaglia.
Alle 20.30 c’è chi ancora non sa neanche dove vederlo.
Alle 20.46 c’è il primo minuto, quello della tachicardia: del primo calcio d’angolo e del primo boato della curva. E già li capisci che sarà una serata bella intensa.
Intorno alle 22.40 prendi atto del tuo destino e ti prepari ad affrontare il giorno potenzialmente più tragico. O succulento (dipende dal punto di vista).
Il giorno dopo per qualcuno è il più bello, per qualcun altro inevitabilmente il peggiore.
La maglietta della squadra c’è chi la mette sotto la camicia, chi direttamente sopra. Chi sfoggia orgogliosamente la solita sciarpa. Chi si presenta in tuta ufficiale.
Il giorno dopo è il giorno del gufo che ci aveva preso (“vincete voi stai tranquillo”) e non si fa più vedere in giro.
E’ il giorno di chi già sapeva il risultato e te lo rinfaccia (“te l’avevo detto io…”).
Più di tutti è il giorno dei tifosi-allenatori. “L’avevo detto io che Bakayoko è più forte di Kessie”. “Icardi pensava ancora a Wanda”. “Eh ma col rigore cambiava la partita”.
Il giorno dopo è il giorno degli insulti e degli sfottò. Essenzialmente giorno di orgoglio o di frustrazione.
Perché, ricorda, una partita di calcio ti cambia una giornata, un derby ti cambia sabato, domenica e lunedì. Minimo.
This post was last modified on 20 Ottobre 2018 - 13:47