Voluntary agreement, quando a stupire è lo stupore

Stupisce lo stupore col quale Marco Fassone, giovedì scorso, ha commentato le indiscrezioni stampa sulla bocciatura della richiesta di voluntary agreement presentata dal Milan all’Uefa. Già, perché qualcosa non torna nel ragionamento dell’amministratore delegato rossonero, comprensibilmente imbarazzato per quella che rappresenta comunque una sconfitta della società in sede europea e che rischia davvero di gettare nuove ombre sul già poco decifrabile futuro finanziario.

Probabilmente il Milan ha tentato quel che sembrava impossibile. Per carità, tentar non nuoce, soprattutto se si è quasi con le spalle al muro. Eppure questa dirigenza si trova a costretta ad assumersi la responsabilità di prendersi lo schiaffo dall’Uefa. Per ammissione dello stesso Fassone, il Milan non era in grado di soddisfare le richieste dell’organizzazione calcistica europea. Di fatto, nessuno ha obbligato il coub a chiedere il “voluntary agreement”, ma facendolo si è esposto il Milan ad una nuova pioggia di dubbi e critiche, a cominciare da quelli relativi alla proprietà cinese, già nel mirino del New York Times qualche settimana fa.

L’Uefa ci ha fatto richieste impossibili, non solo per il Milan”, ha commentato l’ad rossonero. E allora perché andare avanti su quella strada? Non è facile amministrare oggi la “baracca” in un momento delicato sotto il profilo sportivo e di transizione per quel che riguarda la stabilità economico-finanziaria del club. Ma qualche accortezza in più sul piano della comunicazione esporrebbe meno la dirigenza e la squadra ad una bagarre mediatica dalla quale, oggi, francamente, non se ne vede ancora l’epilogo.

 

 

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