Non è ancora finita. Sono passati appena cinque mesi dalla conferenza in cui, a Casa Milan, Fassone e Mirabelli annunciavano l’acquisizione di Antonio Donnarumma ed il contestuale rinnovo del fratellino – mica tanto – Gianluigi. Che, titolo a parte, non chiameremo più Gigio: connotazione di una spaccatura stevensoniana fra ciò che il portiere classe 1999 ha rappresentato fino alla scorsa estate e ciò che, invece, è diventato dopo.
Quello che ormai fu eroe delle ultime macerie berlusconiane, adesso è ortica da estirpare velocemente. Irritante per uno spogliatoio che sta trovando adesso una reale compattezza, per una tifoseria sedotta e disgustosamente abbandonata e finanche per una società praticamente prostituitasi – non per questo erratamente – nel nome di un rinnovo che, quantomeno, potesse garantire un’importante plusvalenza.
Adesso, con un contratto che scadrà senza alcun tipo di dubbio nel giugno del 2021, piangere serve a poco. Le lacrime di coccodrillo viste in Milan-Verona sono il frutto della consapevolezza di aver rotto, stavolta per sempre, un giocattolo sì rattoppato, ma ancora in grado di dare giubilo a tutte le parti in causa. La contestazione contro l’estremo difensore campano durante il match di coppa contro gli scaligeri è figlia di un’amore tradito per due volte nello stesso anno. E, se sulla scappatella numero uno l’ascia di guerra era stata frettolosamente deposta, oggi appare praticamente impossibile un riavvicinamento così immediato fra il numero 99 e l’ambiente milanista.
Molto più probabile, invece, una cessione. Tanto sognata dal buon mestierante Raiola, invocata adesso anche dalla Curva Sud di San Siro. Nel mezzo dell’incudine il Milan – la cui strategia comunicativa sulla questione è molto più che apprezzabile – e lo stesso Donnarumma: la verità è che, stavolta, potrebbero perderci davvero tutti.
This post was last modified on 14 Dicembre 2017 - 10:47