23 maggio 2007, stadio Olimpico “Spyros Louīs” di Atene. Sono le 22:20 circa e, all’82esimo minuto della finale di Champions League n. 52, il tempo pare dilatarsi.
Cinque secondi sono quelli che servono a Inzaghi, scattato sul filo dell’offside, per scartare Reina e far scivolare la sfera sotto le sue braccia, siglando il gol che incorona il Milan campione d’Europa. Cinque secondi, appunto, lunghi un’eternità. In quegli istanti, scorrono, infatti, davanti agli occhi di calciatori e tifosi rossoneri le immagini degli ultimi due anni, iniziati in quella maledetta notte di Istanbul e finiti solo oggi, con il pallone di SuperPippo che, in slow motion, si deposita in porta.
Nel mezzo gli sfottò, “Calciopoli”, un insidioso preliminare con la Stella Rossa di Belgrado, e Atene, sempre Atene, dolce Atene, come nel ’94 per gli invincibili di Fabio Capello. È sempre lei, la città che ha dato i natali a Platone e Aristotele, la costante delle grandi cavalcate Europee del Milan, così come lo è Inzaghi, che nella Champions del 2005 fu grande assente, ma che in quelle del 2003 e del 2007 è stato assoluto protagonista. A suon di gol (10 in 1101 minuti disputati) ha, infatti, trascinato gli uomini di Ancelotti a Manchester, nella notte dell’apoteosi rossonera, per poi ripetersi, dopo quattro anni, con le reti al Bayern e la doppietta in finale al Liverpool.
È difficile riassumere in poche righe ciò che lega Inzaghi al Milan. Un amore troppo grande da essere quasi indescrivibile, se non attraverso la narrazione delle emozioni provate in occasione della sua massima espressione calcistica: il gol. Emozioni irripetibili, come quelle provate in occasione del gol allo scadere contro il Lione o del pallonetto all’Ajax (poi corretto dentro da Tomasson), nei gol nei derby o in quello contro il Celtic dopo mesi di infortunio, nella prima rete, in casa contro la Fiorentina nel lontano 2001, o in quella, sempre in casa, contro il Novara nell’ultima partita della sua carriera.
Non può rovinarsi il suo ricordo per quella macchia da allenatore di una squadra senza amore né attaccamento alla maglia. Inzaghi è e resta il nostro eroe.
Oggi col suo Venezia, neo-promosso dalla Lega Pro, Pippo viaggia spedito verso la Serie A e chissà che un giorno non torni a sedere sulla panchina rossonera.