Aveva segnato il primo gol della stagione, contro il Lugano in amichevole. Nessuno si sarebbe aspettato che avrebbe siglato anche quello – fino ad ora – più importante. L’incredula gioia di aver deciso un derby – lui, che appunto fino a poche settimane fa giocava nella Primavera – si è manifestata apertamente nell’esultanza di Patrick Cutrone, fanciullesca e liberatoria, con la quale è andato a cercare l’abbraccio di capitan Bonucci, ma soprattutto nello sguardo e nella voce tremante a fine gara. Il Cutrone giocatore l’ha descritto lui stesso, con poche parole, a fine gara: “I miei movimenti, i miei gol, sono dettati da una fame e da una voglia che ho ancora prima di entrare in campo”.
Perché Patrick è così: pochi fronzoli, poco egocentrismo, solo cuore, generosità e fame. Fame pura. E’ quell’attaccante che serve ora al Milan, capace non solo di fare la lotta con il difensore avversario – come l’altra sera, contro uno Skriniar in versione Ivan Drago – e di aiutare la squadra, sacrificandosi a ricevere o conquistare palla in qualsiasi zona del campo; il numero 63 rossonero vede la porta più di ogni altro in questa squadra, della quale è infatti il capocannoniere con 9 reti a soli 19 anni, e non ha paura di fare gol come in questo momento i suoi due compagni di reparto, Kalinic e Silva.
Ma soprattutto Cutrone è il Milan. E’ un ragazzo che è cresciuto con i colori rossoneri addosso, ed è cresciuto per questi colori, che ama, come ha confessato proprio ieri sera post partita: “Amo il Milan, il mio sogno è stare in questa squadra”. Il Diavolo, quello che ha in corpo, ha proprio bisogno di uomini – si fa per dire, dato che si sta parlando appunto di un diaciannovenne – così, riconoscenti e sognatori, che lottano ancora per degli ideali. Dopo questa vittoria nel derby, che consente ai rossoneri di accedere in semifinale di Coppa Italia, viene da pensare che non solo Cutrone è il Milan, ma che è il Milan – forse – a dover essere un po’ più Cutrone.