Chi scrive, lo ha incontrato davvero questa sorta di ascensore umano. E ci ha cenato allo stesso tavolo. Un bambino di undici anni che a poche settimane di distanza vive due emozioni: la prima volta a San Siro e l’incontro ravvicinato con chi anche quel giorno difendeva la porta rossonera: Sebastiano Rossi. Il tragitto in macchina verso il ristorante, tanta gente, foto, autografi, e l’immancabile partita a carte con i commensali. Gli piaceva giocare a carte, da buon romagnolo, ed era capace di trattenere i suoi ospiti fino a tarda notte a casa sua per provare a placare il suo eterno bisogno di primeggiare. Un bisogno che lo ha premiato, in campo. Fino a pochi mesi fa, era suo il record di imbattibilità: nel febbraio del 1994 a San Siro, il pubblico si alza in piedi al minuto quaranta del primo tempo. Rossi ha superato Zoff e con 929 minuti è il nuovo primatista di imbattibilità: nove partite consecutive senza subire reti. Di Rossi si sono lodate le doti tecniche, bravo tra i pali, un po’ meno nelle uscite forse, ma una presenza solida e sicura per i compagni. E se ne è sempre condannato il carattere: rude e impulsivo, che gli ha chiuso quasi subito le porte della nazionale. Nato a Cesena e portiere dei bianconeri, da Milanello era già passato nella stagione 1990-91, salvo poi tornare e rimanere in pianta stabile.
E’ l’ultimo baluardo del Milan capelliano: vola dove i quattro dell’ave Maria (Tassotti, Costacurta, Baresi e Maldini) talvolta non arrivano. Sì, erano umani anche loro due o tre volte a stagione. Vince tutto o quasi, e fa anche da spettatore a quella recita meravigliosa che fu Milan-Barcellona ad Atene. La curva lo prende in simpatia, per quel suo spirito battagliero e sfrontato: a Foggia, una domenica, gli tirano un fumogeno che quasi lo colpisce. Per tutta risposta, il nostro lo raccoglierà e lo tirerà indietro. “La rete era troppo bassa, ho sbagliato il lancio ed è andato dall’altra parte” sarà la sua poco credibile giustificazione. Quella domenica in cui festeggia il suo record, ha davanti ancora il Foggia: forse memore degli improperi ricevuti dai tifosi pugliesi, a pochi metri da lui, si lascia andare in un plateale gesto volgare al loro indirizzo nel momento in cui scattano gli applausi. “Seba” era così.
Nella stagione 1999-2000, il Milan affronta il Parma a San Siro: sul 2-1, Crespo calcia un rigore che Rossi intuisce e respinge. Mancano pochi minuti al termine e pare una finale. Il pubblico festeggia e lui ancor di più: la porta è quella proprio sotto la Sud, verso cui si gira ed esulta, raccogliendo una sciarpa e battendosi la mano sul petto al grido di “Forza vecchio cuore rossonero!”. Ve la immaginate questa scena, oggi? Chi potrebbe farla nel Milan attuale? Chi potrebbe entrare così in empatia sol suo pubblico? Era una sorta di riscatto, nonostante quella coi gialloblu fosse solo una normale partita di un normale campionato. Rossi era riemerso in superficie dal buco nero che lo aveva inghiottito alla fine del 1998, quando mise ko Bucchi che aveva la “colpa” di… avergli fatto gol su rigore. Insopportabile Seba: non gradiva che l’attaccante andasse dentro la porta a raccogliere il pallone dopo aver segnato. Lo sbarbato Abbiati ne prese il posto e la gloria a colpi di miracoli, come quello finale, all’ultimo minuto dell’ultima partita: a Perugia, proprio su Bucchi, il piccolo Christian cuce l’ultimo pezzo di scudetto sulle maglie del Milan.
Nel 2002 Rossi chiude con i rossoneri e praticamente con il pallone: diventa per un periodo preparatore dei portieri della primavera e quel bambino ormai cresciuto lo incontra di nuovo, ricordando quella sera di tanti anni prima. Oggi Rossi ha qualche chilo di troppo, un presente fuori dal calcio e un recente passato in cui ha commesso qualche uscita a vuoto, questa volta non sul campo. In balaustra, un tempo, c’era un lungo striscione che non lasciava spazio a interpretazioni: “Sebastiano sei uno di noi”. Non servono creste, né tatuaggi: cerca di mangiare l’erba e dare tutto e diverrai un idolo delle folle.
This post was last modified on 22 Novembre 2017 - 18:59