Storia di un ex: Juan Alberto Schiaffino, una classe tutto “Pepe”

Eduardo Galeano, grandissimo giornalista, scrittore e uno dei più grandi cantori dell’America latina scomparso nel 2015, ne parlava così nel suo “Splendori e miserie del gioco del calcio”: “Schiaffino, con le sue giocate magistrali, organizzava il gioco della squadra come se stesse osservando tutto il campo dalla più alta torre dello stadio”. 

Juan Alberto, che come Galeano veniva da Montevideo, apparteneva certamente agli splendori. In miseria ci andavano i suoi avversari, travolti dall’ebbrezza di questo centrocampista dirompente, investito di classe e temperamento, cresciuto a pochi passi dal giallo-nero del Penarol, al Barrio Sur, vicino cioè alla vecchia sede della squadra sudamericana. Avete sentito parlare del Maracanazo, no? Il 7-1 subito dal Brasile ai Mondiali casalinghi del 2014 ebbe come accostamento quel celebre 2-1 subito al Maracanà nel 1950, quando l’Uruguay piegò i duecento mila brasiliani allo stadio, già sicuri del titolo iridato. Schiaffino ne fu uno dei protagonisti e di quel Penarol fu un  simbolo: dopo le poco significative prime esperienze al Nacional e all’Olimpia, il “Piccolo maestro”, come fu soprannominato quando entrò nel 1943 nelle giovanili del club, sbocciò in prima squadra nel 1946. Visione di gioco eccellente seppur non spiccasse fisicamente (era gracile e longilineo), in patria con la maglia dei giallo-neri Schiaffino, nel frattempo divenuto “Pepe” per merito di madre Eusebia e che in Uruguay veniva soprannominato anche “El dios del futbol”, fa incetta di trofei: vince per cinque volte il campionato e in squadra militano proprio i suoi amici e compagni di quell’Uruguay campione del Mondo come Ghiggia e Videla, il primo a segno nella finale del Maracanà. Duecentoventisette partite in campionato, ottantotto reti e poi, il Milan.

In rossonero approda nel 1954, Milano gli pare così lontano eppure sarà il suo regno per sei anni. Dopo un altro Mondiale sugli scudi, in Svizzera, i rossoneri se lo aggiudicano per ben 52 milioni di lire, una cifra per l’epoca mastodontica. In Uruguay si titola “Perdita irreparabile”, ma i dirigenti del Penarol sono convinti che, a trent’anni, “Pepe” sia sul viale del tramonto. Mai impressione si rivelerà più sbagliata: all’esordio in campionato, che coincide con la prima partita anche di un altro patriarca rossonero come Cesare Maldini, il Milan piega 4-0 la Triestina e lui fa subito doppietta. Il Milan si aggiudica lo scudetto, e Schiaffino replicherà la soddisfazione nel 1957 e nel 1959.

Per quanto fosse estroverso in campo, appariva molto chiuso e scontroso fuori. Nei tempi morti della sua permanenza al Milan, faceva una capatina in Svizzera per qualche speculazione finanziaria e reinvestiva il denaro conquistato in appartamenti e negozi. Nel 1960 l’età questa volta gli presenta il conto: il 7 febbraio disputa novanta minuti contro l’Alessandria a San Siro, con il Milan che vince 3-1 e i grigi che schierano un ragazzino che segna il gol della bandiera per i suoi. Si chiama Gianni Rivera e chissà se Schiaffino è a conoscenza che quello sarà il suo erede.

Dopo la fortunata esperienza rossonera, quarantasette le reti totali in campionato, Schiaffino passa alla Roma e gioca altri due anni, chiudendo trentottenne nel 1962. Tenta una poco fortunata carriera di allenatore, seppur nel 1975 centri il terzo posto in Copa America guidando il suo Uruguay.

“Pepe” se ne va il 13 novembre del 2002, e prima di un Milan-Parma, che i ragazzi di Ancelotti vinceranno 2-1, San Siro gli tributa un lungo e sentito applauso, significato che la sua immensa classe e il contributo dato alla causa milanista, siano state sempre una memoria indelebile anche per le generazioni a venire. Abbiamo aperto con una citazione di una grande penna, chiudiamo con un altrettanto celebre scrittore mascherato da giornalista, che diceva più o meno così di Schiaffino: “Forse non è mai esistito regista di tanto valore. Schiaffino pareva nascondere torce elettriche nei piedi. Illuminava e inventava gioco con la semplicità che è propria dei grandi. Aveva innato il senso geometrico, trovava la posizione quasi d’istinto”. Firmato, Gianni Brera.

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