Il rammarico è sempre quello di essere ricordato come “quello che ha avuto l’incidente”. Gianluigi Lentini invece era molto di più. Era un bravo giocatore, dai piedi buoni, che faceva sempre la cosa giusta e che ha legato il suo nome soprattutto a Milan e Torino. E alla vigilia dell’incontro di campionato tra le due compagini, si apre l’album dei ricordi.
Lentini oggi non è diventato nessuno in particolare: gestisce un locale a Carmagnola, suo paese natale, gli piace il biliardo e con il calcio non ha mai più avuto nulla a che fare. Dal 1989 al 1992 fa faville con i granata e Berlusconi, che metterebbe in campo sempre undici Ronaldinho, lo vuole per Capello. Una sessantina di miliardi, più, forse, un extra passato sottobanco. Il polverone intorno al suo passaggio in rossonero, oltre che per le questioni economiche, si sollevò anche per la reazione dei tifosi del Torino. I granata avevano appena perso la finale di Uefa contro l’Ajax e ora vedevano partire il suo gioiello che aveva sempre detto «Voglio restare qui».
Il Milan è nel pieno del ciclo di Don Fabio: primo anno e subito titolo per Lentini. Tutto pare volgere per il meglio poi, una gomma bucata e sostituita con un ruotino, non sarebbe un danno, se non fosse per l’alta velocità. È il 2 agosto del 1993, si è appena celebrato il centenario del Genoa a cui lui ha partecipato, e vita e carriera di Gianluigi sono sull’orlo del precipizio per due giorni: l’uscita di strada durante il rientro a Torino, il grave impatto e due giorni di coma. Poi tutto passa, come fosse quasi un’abrasione. La fine della carriera di Lentini ha piuttosto un’altra data, per stessa ammissione del diretto interessato: “Ero tornato, ero motivato, stavo bene. Ero convinto di giocare la finale di Coppa dei Campioni con l’Ajax, nel 1995. Capello, senza darmi spiegazioni, mi lasciò fuori. Entrai negli ultimi cinque minuti, perdemmo e io non volevo più avere a che fare con il calcio. Non ci credevo più”.
Invece arriva il suo padre calcistico Mondonico, e il sodalizio vissuto a Torino, si ripete a Bergamo. Poi di nuovo i granata dal 1997 al 2000, e la chiusura prima al Cosenza e poi nelle serie minori. Lentini ha venduto tutti i suoi ricordi, eccetto qualche maglia, conservando naturalmente anche quelle di Milan e Torino, le squadre che ancora segue dal divano. Non gli piace vivere di ricordi, non accetta compromessi e forse per questo non era pronto per una vita al di fuori del calcio. Uscito dal campo di gioco, non è più rientrato né in panchina né in nessun altro ruolo. Senza quell’incidente, forse sarebbe stato diverso. Ma la cosa più importante è che oggi sia in grado di poterlo raccontare.
This post was last modified on 22 Novembre 2017 - 18:23