Giovanni Galli nella vita ha sempre vinto. Lo ha fatto sul campo: dopo l’esordio con la Fiorentina, in cui militerà per dieci anni, è il numero uno del Milan di Sacchi. Non che avesse molto da fare: davanti aveva dieci persone che prima ancora che calciatori erano uomini straordinariamente affiatati. Giovanni si è goduto una squadra spettacolare da una posizione privilegiata: il Milan correva, giocava a memoria, spazzava via gli avversari e lui davanti a sé aveva i numeri fortunati: il due, il sei, il tre e il cinque. Tassotti, Baresi, Maldini e Costacurta. Questo non lo esentava da prodezze e così Giovanni non è stato solo il portiere passivo che stoppava un tiro ogni tanto ma un proprietario legittimo di una delle tante poltrone della “hall of fame” rossonera.
Era arrivato al Milan nel 1986, quando all’Arena era sbarcato dal cielo, nel vero senso della parola, Silvio Berlusconi. In uno degli elicotteri che atterravano sul prato verde che fu stadio di Milan e Inter in un breve periodo lontano, c’era dentro anche lui. Pronti via, si fece beffare da Barbuti, nostalgico attaccante che portò l’Ascoli di un certo Boskov in Serie A, che calciò da posizione impossibile una palombella che terminò dentro ingannando il portiere toscano alla prima di campionato. Decisamente più imprendibile fu la punizione di Maradona, nella stagione successiva, che tolse letteralmente le ragnatele dall’incrocio. Era il primo maggio, c’era il sole e anche se davanti c’era il miglior calciatore del pianeta, il Dio del calcio aveva deciso che era il giorno del Milan. Tre a due, sorpasso e scudetto. I novantamila di Barcellona, il 24 maggio 1989, lui li aveva tutti intorno. In quell’occasione sì che si poté godere lo spettacolo: restò inoperoso perché davanti a lui si stava volgendo la recita più sontuosa del Milan berlusconiano. Quattro a zero e poi Supercoppa, Tokyo e tutto il resto. Ma Galli ha soprattutto vinto nella vita. Nel 2001, suo figlio Niccolò, è tragicamente vittima di un incidente stradale. Giocava nel Bologna, aveva diciassette anni e stava per farsi strada nel calcio che contava. Il trofeo più importante che Giovanni potesse cucirsi sul petto, è stata la dignità e il grandissimo rigore morale che lo hanno aiutato a superare questa immane perdita. Ormai da anni ha aperto una fondazione benefica intitolata al ragazzo e buttato giù un libro nel 2010, dal titolo “La vita ai supplementari”, il racconto della sua esistenza prima e dopo Niccolò, la vita che ti mette davanti una prova tremenda da superare dove la fede ha giocato un ruolo cruciale nella sua salvezza interiore. Lui che aveva perso il padre a 19 anni, lui che oltre il novantesimo era andato a Monaco, nell’aprile del 1990, quando il Bayern stava vincendo per 1-0 e c’era una finale di Coppa dei Campioni da conquistare. Ci pensò Borgonovo a pareggiare al minuto numero 100, e nonostante il 2-1 per i tedeschi, Galli e il Milan ce la fecero. Ma esattamente come in campo, Giovanni non ha mollato. E’ andato a vincere quella finale, saltando poi insieme ai tifosi rossoneri nella notte viennese che incoronava il Milan per la seconda volta campione d’Europa. Era la sua ultima partita in rossonero prima di trasferirsi al Napoli. E ha vinto nel quotidiano.
A tanti anni ormai dall’accaduto (“Il dolore non lo si può cancellare, bisogna solo conviverci”, dirà), Giovanni Galli è un uomo ancora più forte. Di quando giocava, di quando parava, di quando saltava. Nel nome di Niccolò, che avrà certamente raccontato agli Dei, quelli veri, che papà speciale ha avuto accanto.
Fonte foto: labaroviola.com