Da talento a simbolo delle difficoltà: Calha, gli alibi sono finiti, ora servono cose turche

Il simbolo di un mercato che doveva trascinare il Milan e che invece si sta ridimensionando alla distanza è senza dubbi Hakan Calhanoglu. Il turco, arrivato dopo una trattativa lampo, doveva essere l’elemento qualitativamente superiore del reparto offensivo. Quello che con una giocata riusciva a sbloccare una gara chiusa, il classico fulmine a ciel sereno che doveva abbattersi sulle difese avversarie.

Teoria, sogni e aspettative ma alla fine nel calcio la ragione ce l’ha sempre il campo e sul rettangolo verde il 10 rossonero non ha ancora dimostrato il suo valore, risultando fino a questo momento il flop del mercato. Vuoi per il peso del numero di maglia, per l’inattività di sei mesi subita in Germania per la squalifica nella scorsa stagione o per un naturale ambientamento a un nuovo campionato, sta di fatto che, a parte i due gol contro Austria Vienna e Chievo, le sufficienze per lui si sono contante su una mano. Montella punta molto su di lui, come dimostrato dal minutaggio di 942 minuti, il secondo centrocampista dopo Kessiè. Anche in questo nuovo modulo, nel tridente con Suso e un centravanti, dove doveva essere più libero sembra ancora un passo indietro rispetto alla velocità e alla tattica del nostro calcio. Il CT turco Lucescu ha parlato di modulo, sottolineando come Calhanoglu sia una mezzala e non un trequartista, ma la sostanza non cambia.

A Napoli, con il ritorno di Bonaventura, potrebbe sedersi in panchina. La sensazione è che manchi ancora uno scalino per raggiungere la cima, un numero per sbloccare la password e prendere finalmente il volo. Il Milan ha bisogno di Calha, gli alibi sono finiti, San Siro ha una tremenda voglia di vedere cose turche.

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