Sembra quasi di vederlo ancora lì, Rino, a battagliare in mezzo al campo con Pirlo, Seedorf, Sheva e gli altri grandi, in un Milan che vinceva circondato d’amore. Dopo qualche anno e varie esperienze finite male, invece, è tornato a casa con un compito ancora più importante: stavolta gli viene chiesto di spiegare agli altri come si combatte, di guidarli non sull’erba ma fuori, di restituire calore a un ambiente che ha perso la sua identità.
Non entro nel merito dell’esonero di Montella, condivisibile o meno, forse giusto ma “controtempo”, per questo così discusso. E opinabile è anche la scelta di Gattuso, vista la sua inesperienza su una panchina importante e i suoi vari step a Palermo, Pisa e in Grecia non proprio confortanti.
In questo momento, infatti, dobbiamo fare tutti un grande sforzo di volontà e mettere da parte i dubbi, i pareri, le paure, per stringerci intorno a un ragazzo che ha fatto la storia del Milan più bello degli ultimi 20 anni. E merita una possibilità proprio per questo.
Ora la priorità va al gioco: che sia semplice ma chiaro. E il modulo, che sia uno. Ma, soprattutto, che ci siano positività, orgoglio e anima. E tanta schiettezza, anche quando fa male. In questo Montella ha sbagliato, ultimamente talmente finto da dare fastidio.
A Rino chiediamo di essere semplicemente se stesso. Come quando nel 2012, nell’ultima gara con il Milan, salutava San Siro insieme a Nesta, Inzaghi, Zambrotta e Van Bommel. Lo sguardo da duro, il cuore da rossonero vero. Il resto, speriamo, verrà da sé.