L’ANTI-MAGO ERA AZIENDALISTA?
“Sono venuto in Italia nel 1949 per rimanerci due anni e invece ci ho passato tutto il resto della mia vita”, lo ha raccontato spesso Liedholm, il simbolo di una storia applaudita a tutte le latitudini. Ma la carriera del Barone non è stata solo rose e fiori. Da giocatore in Svezia vinceva tutto con la Nazionale e con il Norrkoping, ma nel 1958 proprio a Stoccolma avrebbe poi perso la Finale mondiale contro il Brasile di Pelè. Da allenatore è stato unanimemente giudicato come un maestro, eppure negli anni Sessanta, nei quali i suoi toni erano agli antipodi del mago Herrera, veniva accusato di essere stato troppo aziendalista nel non essersi opposto alla cessione di Paolo Ciapina Ferrario da parte della presidenza Milan guidata da Felice Riva.
I SUOI SORRISI E L’ITALIANO LIEDHOLMIANO
Un sorriso solo accennato e sempre elegante, è stato l’approccio di Liddas a queste e ad altre cose, le cose del calcio e della vita. Un sorriso come paravento, dietro il quale il Grande svedese era libero di inseguire i suoi pensieri alternativi, come il ricorso agli astri, e le sue battute. “La maglia numero 10 a Buriani? Era un po’ che volevo vedere quella maglia correre dall’inizio alla fine della partita”, con riferimento a Rivera…“Perché Incocciati non ha giocato oggi? Perché aveva già giocato ieri…”, peccato che il giorno prima Lazio-Milan fosse stata rinviata per neve in quel gennaio 1985. Era il suo modo, era il suo mondo. Espresso e comunicato con un italiano tutto suo, inconfondibile. Se esistesse un font anche per le pronunce, Liedholm avrebbe il suo. Totalmente dedicato.
DA DI BARTOLOMEI A MALDINI, I SUOI RAGAZZI
Quasi nove anni dopo la scomparsa di Liddas, lo ha raggiunto lassù Cesare Maldini. E insieme saranno tornati a quella domenica in cui Nils fece esordire Paolo: “Sentivo la radio, l’ho scoperto così, non ho mai voluto dir nulla a Liddas e lo stesso lui a me, del resto eravamo compagni di squadra”, ha raccontato Cesare. Di Liedholm e del gusto del gioco, della calma, che sapeva infondere ai suoi giocatori parlò ai quattro venti il povero Ago Di Bartolomei dopo un Juventus-Milan 1-1 dell’ottobre 1984: “Liedholm? È il massimo della vita”. Se poi il Milan degli Immortali ha trovato nei piedi buoni di Mauro Tassotti uno storico punto di riferimento, lo si deve proprio al lavoro certosino fatto dal Barone nei suoi confronti.
Grazie di tutto e anche per questo. E altro.
Fonte: AcMilan.com.