Noi non vogliamo smentire queste, per alcuni, ‘verità assolute’, ma abbiamo la necessità di puntualizzare alcuni elementi fondamentali. In queste due esperienze, il nuovo ad rossonero, non ha mai avuta piena autonomia ed è sempre stato affiancato da altre figure nello svolgimento dei suoi compiti. Ora, si trova di fronte ad un’opportunità nuova, una in cui può mettere in campo tutte le sue competenze, le sue abilità e la sua intelligenza manageriale. Fassone è stato il mediatore più importante tra vecchia società e nuovi proprietari ed è stato colui che si è speso in prima persona per trovare i soldi necessari per il closing. Basterebbe questo per far capire quento sia di alto profilo strategico e manageriale il nuovo dirigente rossonero. Nella conferenza di presentazione della nuova società è stato impeccabile e ha fatto capire di avere le idee chiare, così come è chiara la strategia con cui vuole agire da cui ai prossimi mesi.
Tornando alla famosa conferenza di otto giorni fa, l’ad rossonero ha risposto a tutte le domande e ha fatto chiarezza. Non balbettava e sapeva benissimo di cosa parlava. Con onori e rischi del caso. La struttura sportiva voluta da Fassone è importante perché per saper fare calcio bisogna essere bravi a scegliere le persone giuste. Chiarezza, programmazione e onestà intellettuale. Basterebbero questi tre elementi per capire che il Milan si è affidato in buone mani e, anche se saranno solo i risultati sportivi, societari e gestionali a dirlo, ci sono già delle differenze sostanziali tra nuova e vecchia dirigenza. Nel nuovo organigramma rossonero ci sono figure professionali importanti, avvocati di primo livello e gli italiani attualmente in società sono molto più credibili di quelli che l’hanno appena lasciata. 29 trofei in 31 anni non sono da tutti, ma sono il passato e rappresentavano il passato già da un po’. Di ricordi non si vive e l’andazzo che aveva preso la società, un tempo esempio per tutto il Mondo sotto tutti i punti di vista, era davvero preoccupante e per certi versi imbarazzante.
Fassone e Mirabelli hanno l’umiltà, la voglia e la passione giusta per fare quello che ormai Galliani non faceva più. Ed è emblematico che l’ex ad rossonero rappresentava da solo quello che in tutte le società serie che si rispettino è rappresentato da due figure. La differenza tra Fassone e Galliani è già stata specificata, quella tra l’ex antennista e Mirabelli è a più eclatante. Andare in giro per il Mondo a scovare nuovi talenti, parlare con tutte le società e tutti gli allenatori per cercare di conoscere contesti e situazioni diverse, parlare con tutti i procuratori, vedere un numero considerevole di partite durante la settimana: è così che si svolge il compito di direttore sportivo e al Milan qualcuno lo aveva dimenticato. Mirabelli questo compito lo sta svolgendo da mesi, il tutto senza mai parlare ai microfoni, senza cercare mai le luci dei riflettori, senza manie di protagonismo. Anche questa è una netta differenza con chi lo ha preceduto.
Il ‘palmares’ di Mirabelli è sicuramente vuoto, ma ci sono dei dati di fatto innegabili che fanno capire come il Milan e Fassone non si siano affidati al primo sprovveduto che capitava a tiro. Nella sua breve esperienza all’Inter, infatti, era Mirabelli quello che consigliava a Piero Ausilio, attuale ds dell’Inter, di prendere Ivan Perisic. Così come era Mirabelli quello che disse, sempre allo stesso Ausilio, di comprare Gabriel Jesus, attuale stella del Manchester City e della Nazionale brasiliana, a soli 11 milioni. Lo stesso Mirabelli bocciò con una relazione scritta Gabigol, comprato poi a 30 milioni di euro e per ora vero e proprio flop del calciomercato nerazzurro, e bloccò Joao Mario a 20 milioni, un po’ di tempo prima che lo stesso centrocampista portoghese arrivasse all’Inter per più del doppio (45 milioni).
This post was last modified on 21 Aprile 2017 - 21:25