Paradossalmente, il problema non è mai stato il closing. Sono altri gli interrogativi-chiave che investono il futuro di una squadra da 5 milioni di tifosi in Italia: in che mani finirà il Milan? Quali saranno le sue prospettiva di tenuta aziendale e di sviluppo? Perché una cosa è stata chiara sin dall’inizio, sin dal preliminare del 5 agosto firmato a Villa Certosa. I cinesi intenzionati a succedere a Berlusconi non sono sceicchi arabi o oligarchi russi, e nemmeno i capitali dell’industria del Dragone sdoganati dal governo di Pechino per la conquista globale del calcio. È questo l’incipit de La Gazzetta dello Sport sul futuro del club rossonero.
Escludendo le dietrologie ed i pensieri inutili alla crescita del club, la Rosea pone la lente d’ingrandimento sui personaggi dell’operazione. Il primo, per ordine di importanza, non può che essere Yonghong Li, definito come: “uno sconosciuto broker-imprenditore cinese, capace di assumere il ruolo di regista della trattativa Milan, con il coinvolgimento del fondo provinciale (non statale) Haixia Capital”. Il sig Li, si legge, dopo aver costituito la società-veicolo Sino-Europe Sports, immaginava di poter acquisire il club del Diavolo tramite un fondo d’investimento. Una tipologia di operazione che, secondo la Rosea, avrebbe segnalato fin da subito un fattore: l’assenza di big nel nuovo azionariato Milan, bensì la raccolta di tanti piccoli investitori, i cosiddetti retail, attratti dalle promesse di possibili rendimenti. Settimana dopo settimana, passo dopo passo, è caduto il velo sulla tipologia finale: un acquisto praticamente a debito. Nessuna banca sarebbe diventata azionista, ma avrebbe concesso dei finanziamenti. Ma con quali garanzie? In cambio di cosa? Il sig Li, proseguono i colleghi, non ha mai dato visibilità sulla sua consistenza patrimoniale, alimentando i dubbi generali.
A questo punto, al netto di rinvii e soggettive difficoltà nel reperire il denaro, le preoccupazioni non riguardano più l’esito della trattativa ma il futuro del Milan. I 520 milioni pretesi da Fininvest, dovessero arrivare, sarebbero frutto di finanziamenti. Oltre a questi, ci sarà da farsi carico della gestione sportiva e del debito pregresso. Gli acquirenti, si legge, si erano impegnati a “compiere importanti interventi di ricapitalizzazione, rafforzamento patrimoniale e finanziario”, senza mai però averne realmente garantito ed accertato la riuscita. Ora il Milan, conclude Gazzetta, ha bisogno di tanti quattrini, la solidità cinese vacilla: con questi presupposti è a rischio non semplicemente lo sviluppo rossonero (il mercato) ma la tenuta stessa del club.