Pierino Prati, ai microfoni dell’edizione odierna della Gazzetta dello Sport, ha parlato dei suoi trascorsi rossoneri e del momento che sta attraversando il Milan: “Non mi sento settant’anni, perché ho la fortuna di non avere acciacchi. E se sto così bene, con il fisico e con la testa, il segreto è il contatto continuo con i giovani delle scuole calcio Milan, dai 6 ai 12 anni. Avevo allenato anche l’ultimo figlio di Berlusconi, Luigi, che era bravino. A proposito, spero che Berlusconi rimanga e porti avanti il progetto dei giovani, con più italiani possibili. Il mio arrivo al Milan? Liedholm e Cattozzo mi promossero al primo provino. Avevo dodici anni e segnai sei gol a San Siro, in un’esibizione che precedeva Milan-Juventus. Sognavo la prima squadra, ma, a diciotto anni, mi mandarono in prestito a Salerno. Un anno dopo, esordii in Serie A, con Silvestri, ma c’erano Amarildo e Sormani. Così, a novembre, andai in prestito a Savona. Poi, a luglio, arrivò Rocco, che mi volle conoscere subito. Il mio primo incontro con il paron? Avevo i capelli lunghi, i pantaloni a zampa d’elefante, una camicia a fiori, in stile beat, come si diceva allora. Rocco mi squadrò e disse di aspettare un calciatore, non un cantante, e chiese di mandarmi via. Mi allontanai scoraggiato, ma Rocco scherzava. Mi richiamò subito e cominciai ad allenarmi con i titolari. La svolta? A Vicenza, non avevo ancora ventuno anni. Rocco, il giorno prima, mi disse che avrei giocato dall’inizio e mi intimò di usare bene la testa, altrimenti, avrei fatto le valigie. Pareggiammo due a due, io segnai due gol e non uscii più, anche se quella stagione mi costò parecchio, perché c’era l’abitudine di offrire bottiglie di champagne al primo gol di testa, al primo di sinistro, al primo di destro e alla prima doppietta. Tuttavia, pagai volentieri, dato che vinsi scudetto e classifica marcatori.”
E ancora: “Perché Pierino la peste? Segnavo spesso negli ultimi minuti e qualcuno, credo Brera, mi diede questo soprannome. Sentirsi il più giovane, in quel Milan, era bello, perché Rocco aveva creato un giusto mix tra gli anziani e i giovani. Era tutto talmente bello che mi adattai a giocare sulla sinistra. Molti mi etichettano ancora come ala, perché avevo l’undici. In realtà, ero un falsissimo undici, perché ero un centravanti. Partivo da sinistra, ma poi andavo al centro, dove mi alternavo con Sormani. Il mio gol più bello? Di testa, a pelo d’erba, in Nazionale, a Napoli, contro la Bulgaria. Ho imparato da bambino a fare acrobazie nei pagliai, cadendo sul fieno, così non ho mai avuto paura di niente. A Rivera devo tantissimo, ci trovavamo a occhi chiusi, aveva un computer in testa, era il più forte della mia generazione. Se fosse stato inglese o tedesco, avrebbe vinto tre Palloni d’Oro, non uno. La mia tripletta in finale di Coppa dei Campioni? Tengo molto a questo record, fiero della mia tripletta nel quattro a uno contro l’Ajax, a Madrid. E pensare che avrebbero potuto essere quattro gol perché, sullo zero a zero, avevo anche colto un palo”.
Sull’attuale situazione rossonera: “Roma-Milan? I padroni di casa sono più forti, ma il Milan è molto più regolare. Montella mi piace molto, è stato bravo a entrare nella testa dei giocatori, ma lo scudetto mi sembra troppo. Firmerei per il terzo posto. Lapadula? Mi piace molto, sembra incavolato nero, attacca tutti, ma deve stare attento a non consumare troppa benzina. In ogni caso, non mi assomiglia, mi rivedo in Belotti, Immobile o Borriello“.