Ottorino Piotti è ancora in forma, fa sempre il procuratore e l’osservatore, mica si direbbe che ha 62 anni, gli ultimi 32 lontano dal Milan. Trentadue, porca vacca, sembra ieri. Oltre il confine temporale ufficiale dei 30 anni. E chi c’era là, nella massa gassosa prima del big bang? Per esempio, c’erano Paolo Maldini e Alessandro Costacurta, che rullavano nelle Giovanili prima del decollo. Ma oggi non ci sono più. C’era Silvano Ramaccioni a fare il mercato, si fa per dire, con i quattro spiccioli – quando c’erano – che gli dava Farina. E anche Ramaccioni non c’è più, al Milan. Va beh, se è per questo neanche il mercato. Però c’erano anche Filippo Galli, Franco Baresi, loro ci sono ancora, ed è per questo che non è ancora più strano che incredibile che l’altro nome da scrivere sia quello di Mauro Tassotti.
Stavolta è proprio andato, non c’è spazio per pause di riflessione, sabbatiche, quelle robe lì di stallo in attesa di rimettersi d’accordo. Dopo 36 anni, Tasso non è più nella lista dipendenti, il nuovo datore di lavoro si chiama Andriy Shevchenko, dalla premiata ditta Milanello si è preso anche Andrea Maldera, tecnico, tattico, uomo Milan da sempre in qualità di ultimo pezzo di una dinastia rossonera dentro, troppo poco considerata per quello che ha dato in campo e fuori. Tassotti e Maldera, e allora ecco anche Piotti: Piotti Tassotti Maldera, il primo verso di una formazione poco poetica, per struggersi bastava e avanzava la Serie B, appena calata su un San Siro ferito, piegato ma non spezzato dalla tempesta della retrocessione a tavolino.
Era il 1980, Piotti preso dall’Avellino come erede del reprobo Albertosi, il Tasso dalla Lazio, dalla quale – se non avesse fatto giro in gattabuia causa calcioscommesse – sarebbe giunto anche Bruno Giordano. Maldera non era Andrea, nipotino novenne di Aldo, “Maldera III”, sanciva l’Almanacco del Calcio, terzino sinistro e capitano. L’uomo che con Baresi, Collovati, Buriani, Novellino, Antonelli avrebbe dovuto in tempi brevi riportare tutto al suo posto, dalle parti della Stella, da dove erano partiti. Invece dopo un ritorno in Serie A teleguidato, senza sbalzi o emozioni particolari, Piotti Tassotti Maldera rimarrà nella storia anche come il componimento dell’incubo, dell’immediato ritorno tra gli inferi, altro che Stella. La nuova Serie B più devastante della precedente, e lì la compagnia si scioglie, perché la vecchia guardia viene spalata via, nessuno escluso.
C’è una nuova poesia da imparare: Baresi Franchino, anni 22, prende la fascia di Aldo, e dopo Piotti e Tassotti si pronuncia Evani, anni 19, subito titolare fisso in un ruolo per lui inedito, laterale sinistro di difesa. A pensare a come si introducono oggi i ragazzi nelle prime squadre – ovvero pressoché ma, o con centomila cautele – viene da sorridere. I cammini si separano: Mauro, salvato dall’epurazione, comincia davvero la sua storia infinita in rosso e nero, non è neanche il caso di ripercorrerla, di riassumerla, troppo grande, troppo grossa. Maldera III non passerà più da una strada che era la sua, ma lascia comunque nei plotoni dei ragazzini del vivaio Maldera IV, Andrea, figlio di Gino, nipote di Attilio e Aldo, tre fratelli e una maglia, quella del Milan, come uno stemma di famiglia, che viene idealmente portata ogni sera sul desco della casa di Bresso, vicino all’ortofrutta di papà Antonio. Ginone, Maldera I, campione con Rocco, Aldo il “Cavallo goleador” con Liedholm, Attilio non passa dalla prima squadra ma torna per allenare le Giovanili dopo averci giocato, e inoltre è collante di tanti e tanti ex che ogni tanto riunisce per partite revival, rossoneri contro biancorossoneri, e ci mancherebbe.
Malderino, come lo zio Attilio, non approda alla maglia numero 3 di Aldo, ma nel 2009 rientra alla base per lavorare a fianco degli allenatori, Leonardo e poi Allegri, Seedorf, Inzaghi, Brocchi. E Tassotti, va da sé, rimasto sul campo da vice fino all’avvento di Mihajlovic. Ora, loro due se ne vanno insieme in un posto lontano, anche se Sheva sa di casa, e sommare la vita milanista di Tassotti e dei Maldera scuote, sarà mezza storia del Diavolo, anno più, anno meno. È come amputarsi un pezzo di memoria. La scelta è stata loro, bisogna accettare, tutte le cose passano: il problema è che in genere i cicli terminano, ma si succedono, si sostituiscono.
E nel presente, e all’orizzonte, non appare nulla che possa prendere il testimone, continuare quel senso di appartenenza, quella simbiosi tra un uomo e un club, tra un cognome e una squadra, tutte cose alle quali il tifoso si appiglia, in cui trova punti di riferimento costanti che vanno al di là di una classifica o di una Coppa. È famiglia, ed è bello sentirsi parte di questa, anche da fuori le cancellate di San Siro e di Milanello. Ora, senza il Tasso, senza i Maldera, sa ancora di famiglia, sì, ma allargata. Si vive in posti differenti, con altra gente, ci vediamo ogni tanto, venite a trovarci, anche Piotti, certo, continueremo a volerci bene, a distanza, in un posto sospeso tra l’Ucraina, la Cina, Bresso, un posto del cuore che ci ostineremo a chiamare Milan.