Il calcio racconta favole uniche ed impensabili, difficilmente ipotizzabili anche dai migliori scrittori o sceneggiatori. La vita, non solo la carriera, di Mateo Musacchio è formata da alti lucenti come un diamante e bassi infernali, capaci di spaventare ed inquietare. Come tutte le storie, la nostra ha un inizio decisamente comune, quello di una famiglia italoalbanese in fuga da un sistema malato, alla ricerca di tranquillità e di una nuova vita.
Originari di Portocannone, Campobasso, Molise, i nonni paterni scappano dal centro-italia: troppo difficile quel razzismo nei loro confronti. La scelta di un paradiso per la propria famiglia li porta a Rosario, Santa Fè, Argentina. La città scelta, all’epoca dell’arrivo, viveva una crescita inarrestabile: alimentata dal florido porto sul Paraná e dagli scambi commerciali con la vicina Buenos Aires, la ciudad si espande, fino a diventare la terza area metropolitana di tutto il paese. I Musacchio si stabiliscono, la famiglia aumenta e, nel 1990, danno vita ad un varón. Il 26 agosto, il dio del fútbol argentino bacia un altro prescelto sulla fronte: nel giro di tre anni, a Rosario nascono Messi, Di Maria e lo stesso Mateo. Le divinità del pallone benedicono il dipartimento con un trittico di talenti cristallini, dati alla luce per scrivere nuove pagine di storia. Musacchio ci mette poco a farsi notare, a soli 9 anni il River fa follie per averlo, ma non finisce qui. Passano pochi anni, bruciando ogni tappa del settore giovanile, e un poco più che adolescente di 16 anni, 3 mesi e 14 giorni, esordisce con la maglia dei Milionarios, diventando il più giovane di sempre nella storia del club. Il Villarreal, sempre attento sui talenti latinoamericani, non se lo lascia scappare e brucia una concorrenza mondiale, acquistandolo il 31 agosto 2009, poco più che diciannovenne. Così come nella cantera della Casa Blanca, anche nel Submarino Amarillo il centrale è nettamente superiore ai pari età, venendo subito promosso in prima squadra. L’escalation è praticamente inarrestabile, da giovane di buone speranze a leader difensivo, fino a diventare capitano e miglior difensore dell’anno, votato dai tifosi.
Nel momento di massimo splendore, la vita e il destino ricordano a Mateo che non tutto è così semplice come è sempre stato per lui. 12 aprile 2015, Coliseum Alfonso Pérez, Getafe-Villarreal, match di liga. Il classe ’90, da poco entrato in campo, mentre sta impostando un pallone sulla fascia destra si accascia a terra, urlando, in lacrime, terrorizzato in volto. Le immagini riveleranno un infortunio shock: la caviglia sinistra si distrugge in più parti. Non solo la carriera sembra finita, i medici non sanno dargli garanzie sulla possibilità di tornare a camminare normalmente. Mateo, memore della forza dei nonni paterni, non getta la spugna ed affronta ogni possibile soluzione per tornare a prendersi la sua fascia da capitano. Dopo 8 interminabili mesi, ecco nuovamente il campo, quarto turno di Copa del Rey, 90′ in campo nella sconfitta 3-2 contro l’Huesca. Il risultato conta poco, il difensore è tornato a fare ciò che ama. Il tempo scorre e, nei primi giorni di luglio 2016, piomba il Milan. Il Diavolo, ferito nell’anima da annate deludenti, decide di ricostruire, puntando tutto sul centrale di Rosario. È Montella in persona a sceglierlo e ad indicarlo a Galliani. Di piede destro, dallo stacco poderoso e dall’enorme capacità di leggere il gioco, ha tutto ciò che serve per essere un grande del campionato italiano: intelligenza, acume difensivo, forza muscolare, tecnica, personalità da leader. Musacchio è ciò che serve ad Alessio Romagnoli, una coppia che si completa in tutti gli aspetti tecnico-tattici. Dalle parti di Via Aldo Rossi cercheranno di chiudere al più presto l’operazione imbastita, con il desiderio di regalare al tecnico campano la linea arretrata perno per i prossimi anni.
This post was last modified on 11 Luglio 2016 - 10:02