L’era dell’aeroplanino è decollata dall’aeroporto internazionale di Milanello, scalo conosciutissimo a livello globale e habitat, negli anni passati, di esemplari unici al mondo. Un tempio sacro per gli amanti del calcio. Luogo in cui ha preso il potere esecutivo e decisionale Vincenzo Montella, portando il pallone al comando. Una boccata di ossigeno puro per tutti gli esteti del bel giuoco, una poderosa spallata alla compagine tutto muscoli, corsa e difesa vista per lunghi tratti della scorsa stagione.
La filosofia instillata sui campi del centro di Carnago si rifletterà, inevitabilmente, sul mercato. Il Milan, dopo anni di affanni, tentennamenti e navigazione a vista, decide, per stessa ammissione di Adriano Galliani, di seguire un’idea chiara per il tavolo delle trattative. L’idea dettata dal tecnico campano, l’idea che verrà perpetrata con “ogni sforzo sul mercato per rafforzare questa squadra“. Scripta manent, caro amministratore delegato. Priorità alla tecnica, alla qualità, alle abilità di palleggio, alla visione di gioco, alla duttilità, alla capacità di dettare i ritmi, alla bravura di servire l’ultimo passaggio. Elementi dimenticati nella soffitta di Casa Milan nel corso delle ultime annate sportive. E così fioccano nomi condivisibili per un Diavolo futuribile, realizzabile e (potenzialmente) competitivo: il vero desiderio di ogni tifoso rossonero. Pjaca in pugno, Musacchio (per la retroguardia) ad un passo, ed osservati speciali come Paredes, Zielinski e Vazquez. Ma qualcosa, per non dire qualcuno, nelle ultime ore stona con il contesto.
Dalle parti di Carcaraña, provincia di Santa Fè, Argentina, ancora oggi raccontano la leggenda del Principito, narrandone due versioni differenti. Cresciuto in mezzo alla pampa humeda, José Sosa lascia la famiglia fin da bambino, troppo piccolo il contesto per quel pibe fatato che palleggiava con i barattoli trovati a terra. Preferisce La Plata a Rosario, preferisce l’Estudiantes al Newell’s, ed è proprio qui che i racconti si differenziano. C’è chi dice che il soprannome sia un dono dell’omonimo uruguaiano Rubén Sosa, e chi narrando sia opera di Bilardo in persona, dopo averlo visto giocare, paragonandolo a Francescoli, noto come El Principe, leggenda sudamericana e hall of famer del Cagliari. Così come è avvolto nel mistero l’origine del soprannome, lo è allo stesso modo l’interesse del Milan nei suoi confronti. Nonostante le capacità tecniche indiscutibili, si tratta di un soggetto di 31 anni con alle spalle una carriera fallimentare. Ogniqualvolta José abbia ricevuto una grande opportunità, il risultato è sempre stato deludente: male al Bayern Monaco, malissimo al Napoli, qualche sussulto al Metalist Kharkiv (campionato ucraino), desaparecido all’Atletico Madrid ed ora segnali di vita al Besiktas. L’ultima stagione potrebbe deporre a suo favore, visti gli ottimi numeri e lo splendore dei suoi gesti tecnici, ma la direzione societaria resta alquanto incomprensibile. L’ago della bilancia risiede nel costo della (possibile) operazione: troppi 8 milioni per un rischio simile, senza conoscerne pienamente le capacità; discorso parallelamente opposto nel caso in cui si chiudesse per una cifra vicina ai 3/4 milioni, con il compito preciso di arricchire la rosa, lontano dai gradi della titolarità. Poste le dovute premesse, rimangono troppi i dubbi. Dove viene lasciata la coerenza quando si cerca un classe ’85 fuori dal calcio che conta? Qual è il progetto che sosterebbe l’acquisto? Dopo l’esperienza partenopea, dove sono le certezze che ora si tratti di un profilo all’altezza del campionato nostrano? Qui qualcosa, per non dire qualcuno, non torna.