Arrivato nell’estate 2015 per rispondere, immediatamente, alla sconfitta nella trattativa Geoffrey Kondogbia, Bertolacci nel Milan non ha mai dimostrato il reale valore. Andrea, conscio di tutto ciò, si racconta in una lunga intervista ai colleghi de La Gazzetta dello Sport, in un periodo di pausa degli allenamenti in quel di Chicago, Illinois. Il centrocampista azzurro inizia parlando di se stesso, della sua integrazione nell’universo rossonero e del desiderio di grande riscatto: “Ripartirò dalla conoscenza dell’ambiente. Io per carattere quando arrivo in una realtà nuova ci entro in punta di piedi. Sono una persona timida e riservata, con un grande rispetto di base. Ora so cosa vuol dire essere al Milan e questo sarà un mio punto di forza. Credo di essere una persona equilibrata: cerco di essere da esempio per gli altri e allo stesso tempo di prendere spunto dai compagni per migliorare“.
L’atleta italiano sa di aver regalato solo grandi delusioni nel corso del suo primo anno a Milano, ma non si nasconde, anzi: “Certamente. È stata una stagione particolare e la premessa è che non ho, e non cerco alibi. Non è nella mia natura. Una cosa però vorrei dirla, perché è giusto fare un’analisi completa. Ogni volta che stavo per rimettermi in carreggiata e tornare il vero Andrea, mi sono fatto male. Gli infortuni mi hanno condizionato. Ecco, vorrei dire che non si tratta di una giustificazione, ma quantomeno di una spiegazione al mio rendimento al di sotto delle attese. Comunque non mi sento una vittima, anche perché sono una persona autocritica che si assume le responsabilità“. Responsabilità e non solo, anche fiducia nei propri mezzi per tornare a brillare, per tornare magari a segnare con continuità: “Il vero Bertolacci è quello che sa fare bene entrambe le fasi, si sacrifica, fa gol e assist. Come è successo all’ultimo anno al Genoa: 6 reti e 8 assist, la mia miglior stagione. Sarebbero numeri ottimi come obiettivo per il prossimo campionato. Non sono un attaccante, ma lo dico senza problemi: il gol mi manca, ne ho sempre fatti. Essermi fermato a uno non va assolutamente bene“.
Non facile vivere un’annata sotto il peso dei 20 milioni, sopratutto se la continuità non si è mai presentata: “È mancata, poi man mano è venuta meno anche la fiducia. Mi avete visto a sprazzi, ho giocato al 50% delle mie possibilità e se qualcuno dice che non ho personalità rispondo che la cosa non mi tocca e se sono al Milan non può essere casuale. Mai pensato di trasferirmi: troppo facile mollare, io da sconfitto non me ne vado. Voglio fare bene col Milan e riprendermi la Nazionale, l’altro mio grande obiettivo. Non chiedo altro che lavorare e ricominciare a dimostrare quanto valgo. Mi chiedete della mia valutazione sul mercato? È un’etichetta che mi ha accompagnato per tutta la stagione, e che forse a livello inconscio mi ha pesato. Ma che posso dire? A Genova avevo dimostrato il mio valore, e i prezzi li fa il mercato. Non sono io a dover rispondere delle leggi di mercato. Molto probabilmente non mi sarei comprato a 20 milioni, non lo so – sorride -, ma a 16-17 direi di sì. Ora mi sento uno di quei giocatori da cui il Milan può ripartire. Uno di quelli su cui ricostruire. E poi c’è Montella“. L’ultimo pensiero va proprio al nuovo corso sulla panchina del Diavolo, capace, secondo l’intervistato, di rendere partecipi a qualcosa di importante: “Con lui mi sento parte di una filosofia tattica che mi rispecchia bene e che può farmi rendere al massimo. Non parlo così perché adesso è il mio allenatore, ma ha le caratteristiche migliori per la mia crescita. Lui ama giocare a pallone, il possesso palla, il palleggio. È un calcio molto affine a quello che intendo io. Ben vengano le sue sgridate quando sbagliamo un passaggio in allenamento: con la palla fra i piedi non ci perdona nulla, perché ci vuole abituare a essere lucidi anche quando siamo stanchi. Comunque i suoi allenamenti, essendoci tanto pallone, sono stimolanti, mi sto divertendo molto“.
This post was last modified on 24 Luglio 2016 - 10:06