Cesare Maldini è stato un uomo elegante e vincente, in campo, in panchina e nella vita. Omaggia così La Gazzetta dello Sport lo storico capitano rossonero, scomparso all’età di ottantaquattro anni nella notte tra sabato e domenica.
In principio fu un grande calciatore, arrivato al Milan nel 1955 vinse subito quattro scudetti al fianco di campioni quali Nordahl, Liedholm e Schiaffino, guidato dal mitico Nereo Rocco. Sfiorò nel 1958 la Coppa dei Campioni. Il 22 Maggio 1963, a Wembley da capitano, fu il primo italiano a sollevare questo trofeo, dopo aver battuto il Benfica 2-1 con il suo Milan. La leggenda narra che fu proprio Rocco con “Cesare, fa ti” (rigorosamente in dialetto triestino) ad affidare la guida della squadra in campo a Maldini, così Cesarone, cambiando posizionamenti e marcature guidò i suoi compagni verso la conquista della Coppa. Quarant’anni dopo, suo figlio Paolo, sempre in Inghilterra, sempre da capitano del Milan, fece la stessa cosa. Perché di Cesare Maldini, la sua famiglia e il rapporto che li lega tra loro, resta la vittoria più grande. Forse una piccola liberazione nonché grande soddisfazione vedersi riconosciuto “padre di Paolo”, quando ad inizio carriera proprio Paolo veniva limitato nell’essere “figlio di Cesare”. Anche in panchina ebbe le sue soddisfazioni rossonere e, a modo suo, continuò a scrivere la storia di questo club: memorabile lo 0-6 inflitto all’Inter in un derby di maggio del 2001, quando Cesare fu chiamato a stagione in corso per salvare l’annata e centrare l’obiettivo Europa.
La sua seconda pelle fu colorata d’azzurro, fu la Nazionale. Bearzot lo volle come suo vice nel Mondiale ’82 e si dimostrò un prezioso punto di riferimento per il CT e per i giocatori. Fu il selezionatore più vincente nella storia dell’Italia under 21, con ben tre campionati europei in bacheca: scoprì i talenti di Nesta, Panucci, Cannavaro, Inzaghi, Totti, Vieri, Toldo e Buffon. Vinse con la selezione maggiore a Wembley nel 1997 (prima vittoria italiana in terra inglese), in una gara di qualificazione al mondiale in Francia nel ’98, dove fu eliminato solo alla lotteria dei rigori. Chiuse in Paraguay perché, secondo lui, il calcio è uguale ovunque. Fu un uomo di calcio pratico, senza dar spazio a discussioni filosofiche, non metteva in piazza i suoi sentimenti dice Zoff, ed era divertente secondo Rivera. Era il patriarca della dinastia Maldini, bandiere del Milan.