Avanti col povero Miha, ma poi servirà un uomo del presidente

Cambiare tutto perché nulla cambi. Un nuovo allenatore, tanti arrivi dal mercato e premesse positive sono serviti a poco: il Milan, un anno dopo il fallimento Inzaghi, è nella stessa situazione in cui versava nel punto più basso della gestione di Super Pippo. Il Diavolo appare senza logica né anima, inadeguato, con Berlusconi scontento per il gioco e la squadra in ritiro punitivo a Milanello. Esattamente la medesima condizione di dodici mesi fa, ma attenzione: i rossoneri, in termini relativi, sono in una posizione migliore rispetto alla scorsa stagione. Sono (per il momento) 6^ in Serie A e dunque in Europa League, ma soprattutto sono in finale di Coppa Italia: una partita che, se dovesse essere vinta, cambierebbe il volto dell’intera annata. Ma date le aspettative estive, e i miglioramenti visti in corso d’opera, il tracollo milanista non può che destare delusione e preoccupazione.

Come spiegare questo Gattopardo rossonero, immobile e immutabile nonostante un bravo allenatore e un mercato (finalmente) dispendioso? Qualche singolo da salvare in pieno c’è, come per esempio Donnarumma, Romagnoli, Niang e Bacca: calciatori che, nonostante la deriva della squadra, mostrano di avere stoffa e qualità da Milan. E Mihajlovic, seppur non sia intoccabile né esente da colpe, è un tecnico capace, esperto e carismatico: tutt’altra storia rispetto a chi come Seedorf è stato “inventato” allenatore da un giorno all’altro, trascinato direttamente dal calcio giocato alla panchina, o chi come Inzaghi era di fatto un neofita del ruolo. Eppure il Milan annaspa, tra un gioco che non c’è, risultati che latitano e un’intensità fisica e mentale che, nell’ultimo mese, è inspiegabilmente sparita.

Il punto è questo: il problema del Milan va oltre l’allenatore e i giocatori. È strutturale, profondo, endemico. È la mancanza di un progetto a medio-lungo termine che permetta al mister di turno di lavorare serenamente (e con un materiale umano coerente con le sue idee di calcio), e allo stesso tempo consenta alla dirigenza di pianificare il mercato con maggiore oculatezza e lungimiranza. L’assenza di chiarezza e di programmazione è un prodotto involontario della “confusione” presente in via Aldo Rossi e delle rumorose ingerenze del presidente: non è un caso che le bordate all’allenatore abbiano anticipato il crollo mentale della squadra. Berlusconi crede in buona fede di avere una rosa da terzo posto e ritiene (legittimamente) di poter pretendere un gioco spettacolare e offensivo, ma l’ex Cav non fa i conti con una realtà diversa: il Milan è costruito male, ha evidenti lacune strutturali e non ha la qualità di chi lo precede in classifica. E le responsabilità, ovviamente, non sono dell’allenatore.

Berlusconi

La patata bollente, ora e come sempre, è proprio nelle mani di Berlusconi. Se andare avanti l’anno prossimo con Mihajlovic, a prescindere dalla Coppa Italia, appare francamente improbabile, l’ipotesi di un esonero a breve termine è quanto di più inopportuno e folle ci possa essere: è sacrosanto finire senza ribaltoni e con Sinisa, sperando nel 6^ posto e nel trionfo in finale. Ma poi servirà chiarezza definitiva sul futuro societario (Mr. Bee che fine ha fatto?) e una pianificazione tecnica a medio-lungo termine fissata con un nuovo mister. Che, questa volta, dovrà essere una scelta diretta e personale di Silvio: un altro tecnico scelto da “terzi” (Galliani, Barbara o anche il fidato Sacchi) finirebbe nel tritacarne come i predecessori. Serve un uomo di Berlusconi, protetto e ascoltato in tutto dal presidente, che sia sopra la divisione bipolare della dirigenza e che faccia remare tutti nella stessa direzione. Miha, seppur estremamente bravo, non ha questo profilo.

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